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La giustizia secondo Michele Vietti

Nelle pagine che seguono ho raccolto alcune riflessioni a margine dei lavori della Commissione ministeriale per la riforma dell’ordinamento giudiziario che ho avuto l’onore di presiedere per incarico del Guardasigilli Andrea Orlando.

Si tratta ovviamente di opinioni personali espresse in libertà, che impegnano solo l’autore e non il presidente della Commissione né tantomeno i suoi componenti. La forma è quella della conversazione, senza pretese di scientificità e autenticità. Approfitto per ringraziare il ministro della fiducia e tutti i commissari per la partecipazione attiva e appassionata ai lavori e per il clima di amicizia che si è creato tra noi.

Abbiamo lavorato assiduamente nei sei mesi – da settembre 2015 a marzo 2016 – che ci sono stati assegnati per formulare la nostra proposta: sono stati mesi di intensa attività, con riunioni a cadenza settimanale dei gruppi di lavoro costituiti per le singole aree tematiche, con incontri di coordinamento, con adunanze plenarie in cui il dibattito è stato allargato a tutti i componenti.

Il nostro calendario si è arricchito di audizioni e acquisizioni di osservazioni da parte del Consiglio superiore della magistratura, dell’Associazione nazionale magistrati, del Procuratore generale presso la Corte di Cassazione, del Capo dell’ispettorato, di alcuni procuratori generali presso la Corte d’appello e di alcuniprocuratori della Repubblica presso il Tribunale. Non abbiamo perciò lavorato in una torre d’avorio ma in stretto contatto con gli operatori del settore e con gli interlocutori istituzionali.

La Commissione ha ovviamente tenuto presente che, tra le riforme della giustizia che da più di venti anni impegnano ogni legislatura, quella dell’ordinamento giudiziario era reduce da un intervento relativamente recente a cavallo tra il 2005 e il 2007: perciò è prevalsa la consapevolezza che prima di poter intervenire ex novo in maniera organica e complessiva sulla materia fosse quanto mai opportuno lasciare sedimentare le norme introdotte, con tutti i loro limiti e difetti, vederle all’opera e provarne l’applicazione.

Ciò, nonostante la Commissione abbia ritenuto intervenire su alcuni istituti che, più di altri, in questi dieci anni hanno manifestato criticità, ovvero dimostrato l’esigenza di una manutenzione ordinaria o straordinaria che completasse l’opera riformatrice intrapresa. Ci si è mossi – come ho avuto modo di dire nella relazione al progetto destinata al ministro – nella convinzione che l’ordinamento giudiziario sia un corpo normativo che dà ordine a una comunità, che è quella giudiziaria, cioè all’insieme di donne e uomini che svolgono la professione del magistrato, una professione che richiede certamente qualità individuali di formazione, preparazione e aggiornamento, ma che alla fine si riconduce ad una complessiva organizzazione, la quale solo può fornire quella risposta di giustizia tempestiva e prevedibile che i cittadini si aspettano.

Perciò le proposte di riforma hanno tutte di mira non tanto lo status del singolo magistrato, pur meritevole di considerazione, ma l’efficienza complessiva del sistema, nella convinzione che solo riguardato nel suo insieme sia possibile modificarlo in termini di maggiore aderenza alle esigenze della moderna società, in cui i requisiti di tempestività, prevedibilità ed efficacia hanno assunto una cogenza ben più rilevante del passato, il che li rende ineludibili obiettivi di una politica giudiziaria responsabile.

I temi toccati sono quelli di maggiore rilevanza nell’ambito della disciplina ordinamentale: dal completamento della riforma della geografia giudiziaria, che in un’ottica di razionalizzazione delle limitate risorse disponibili porti a compimento l’opera svolta nella scorsa legislatura, comprendendo anche gli uffici di secondo grado; al tema della specializzazione dei magistrati, che deve essere vista come fonte di incremento della autorevolezza delle decisioni e della loro prevedibilità in un’ottica di stabilizzazione del sistema e non come un attentato alle aspirazioni dei singoli magistrati; all’organizzazione degli uffici del pubblico ministero, affinché la funzione requirente posa mantenere le sue peculiarità gerarchiche senza per questo dismettere le basilari garanzie funzionali dei
singoli sostituti; al delicato rapporto tra i magistrati e la politica, nel tentativo di conciliare le scelte di campo con l’imparzialità imposta dal ruolo attraverso regole più stringenti per la partecipazione alle contese elettorali e l’eventuale successivo rientro in ruolo; alle regole sull’accesso alla magistratura, che necessitano di una razionalizzazione rispetto a un progetto probabilmente troppo articolato che ha finito per disperdere i canali di formazione; al conferimento degli incarichi direttivi, in cui l’aspirazione del singolo a una carriera “senza demerito” va sostituita con la garanzia per i cittadini di mettere il magistrato giusto al posto giusto e di revocarlo se la scelta si rivela errata; alle valutazioni di professionalità, che debbono ampliare le fonti di cognizione ma anche accelerare i tempi di definizione; al sistema disciplinare che, fermo il principio di tassatività, razionalizzi la normativa positiva, sovente fonte di sovrapposizioni e di
faticose opere ermeneutiche nel dedalo di rinvii e di richiami che la caratterizza; alla mobilità e ai trasferimenti di sede, nell’ottica di mettere fine alle incertezze normative che hanno affaticato in questi anni le aule dei tribunali amministrativi, specie in tema di legittimazione ai trasferimenti.

Le norme proposte sono, a mio parere, innovative e coraggiose. Perché abbiano successo occorre però fugare definitivamentela logica dell’assedio in cui la magistratura si ritrova nell’improprio ruolo di assediato e la politica in quello altrettanto improprio di assediante.

Il Consiglio superiore della magistratura nel suo parere sulla proposta di riforma obietta che si tratta di “suggestioni estranee a qualsiasi logica istituzionale”. Se così è vuol dire che ne abbiamo fatta di strada rispetto ad un tempo in cui nel fortino assediato mi trovavo anch’io e ho tentato a più riprese varie incursioni tra gli assedianti per trattare la pace. Se quell’atteggiamento psicologico non c’è più sono il primo ad esserne contento e comunque il lavoro della mia Commissione va proprio nel senso del ristabilimento di proficue relazioni diplomatiche tra i due mondi.

Michele Vietti

Mettiamo giudizio. Il giudice tra potere e servizio

Egea, Università Bocconi Editore, 2017

158 pp. euro 16

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