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Isis, Brexit e una Gran Bretagna defilata

londra

La prima reazione alle notizie e alle immagini venute da Londra è inevitabile, anzi insopprimibile. È lo sdegno, in primo luogo umano. Il luogo dell’ennesima strage (che è tale, anche se il numero delle vittime è più contenuto di altre occasioni in altri teatri) incita qualche impressione aggiuntiva, forse meno localizzante.

La Gran Bretagna offre forse, in questi giorni, minori spinte dirette all’azione terroristica. Soprattutto rispetto al passato, Londra è un po’ meno capitale del mondo, soprattutto di quello che era il mondo coloniale nel momento della sua sfortunata e incauta trasformazione al termine della Prima guerra mondiale e della deliberata cancellazione dell’unica entità statale che avrebbe potuto consentire di sperare in un prolungamento di qualche misura di una situazione complessa ed ambigua centrata sul prolungamento della soluzione chiamata Impero Ottomano, che era un Califfato ma anche la forma più moderna e tollerante del mondo di quella fede.

I detentori del potere in quella frontiera d’Europa firmavano ancora ufficialmente i propri decreti Costantinopoli, il nome preislamico e romano. Istanbul nacque poco dopo e annunciò la rottura. Vi succedette un equilibrio instabile tra una Turchia laica e nazionale e il colonialismo europeo del resto del defunto impero. Si aprirono dunque le porte a una preponderante identità islamica. La Gran Bretagna e la Francia fruirono brevemente della nuova costellazione, prima che la Seconda guerra mondiale e la conseguente decolonizzazione presentassero bruscamente il conto.

Se i problemi del Medio Oriente avessero continuato a presentarsi principalmente a Londra, forse si sarebbe guadagnato altro tempo e non, invece, l’attuale resa dei conti. Westminster non è più la capitale di quella parte del mondo, Londra mantiene un suo ruolo leggermente secondario rispetto a Washington e perfino alle capitali dei Paesi europei in cui Islam non significa più impero ma immigrazione e scontro di civiltà e di culture. Il confermato nuovo orientamento dei jihadisti vecchi e nuovi verso gli assalti e le stragi prevalentemente simboliche complica ulteriormente il compito degli occidentali, diminuendo la loro preponderanza puramente militare ormai evidente dall’Iraq alla Libia. Un attentato a Parigi, in Germania, in Italia o a Londra ferisce e umilia di più i “nemici del Corano” che non in una città del Medio Oriente.

Il sangue di oggi non è il primo a scorrere a Londra, assomiglia a quello di Nizza o di Berlino, anche se quello colpisce nazioni in cui, in questo momento, si parla più direttamente a proposito della Questione d’Oriente. Westminster è porta di casa di tutti noi, anche se in questo momento sono più frequenti le domande e le risposte di alcuni altri Paesi. Lo si vede soprattutto in quella che una volta si chiamava Mezzaluna Fertile dove la presenza più diretta e dunque anche le assenze riguardano soprattutto l’America, le incertezze attribuibili oggi a Donald Trump come ieri a Barack Obama. Soprattutto in Siria, dove più freschi e importanti sono i successi, ma dove più tenace pare la tentazione di non portarli a fondo.

È riemerso in questi giorni, dopo un’assenza di anni, il nome di Damasco, considerato fino a ieri l’angolo più “tranquillo” dell’intera Siria, in contrapposizione alla martirizzata Aleppo e alle simboliche Palmira e Raqqa (oltre che a Mosul).

La notizia che ci si aspettava era la caduta (un tempo si diceva liberazione) di queste roccheforti dell’Isis o di Al Qaida. Invece arrivano notizie delle controffensive jihadiste su obiettivi relativamente nuovi, sullo sfondo confuso di nuove trattative e di vecchi contrasti fra i nemici e i nemici di tutti: l’America, quella da cui ci si aspetta di più e sembra invece prendere tempo, la Russia e la Turchia che hanno fatto di più, soprattutto in Siria, ma cui continua a mancare un consenso e una condivisione dalle capitali da cui continuano a giungere invece le notizie delle stragi e delle sconfitte.

Pubblicato su Italia Oggi, quotidiano diretto da Pierluigi Magnaschi

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