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Sergio Mattarella, Stefano Folli e il rischio Weimar

Il secco intervento del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, contro l’inconcludenza rissosa dei partiti fa giustamente ipotizzare a Stefano Folli di un rischio Weimar. Cioè di una dissoluzione del modello costituzionale, sotto i colpi della crisi finanziaria e della incapacità dei partiti, come avvenne in Germania negli anni ’20 del secolo scorso, dopo la Costituzione di Weimar del 1919.

Forse la previsione è eccessivamente fosca, ma, certo, le leggi elettorali per come “scritte” dalla Corte costituzionale hanno bisogno di una significativa correzione parlamentare. Per evitare una molto probabile ingovernabilità.

Ad ogni modo, il problema della crisi di rappresentanza del nostro modello costituzionale è molto grave. E il motivo, a mio avviso, è semplice. Pretendiamo di governare la società odierna – globalizzata, informatizzata e avviata verso la robotica – con un modello classicamente ottocentesco. Basato sulla rappresentanza parlamentare attraverso i partiti.

Per comprendere le ragioni di questa “crisi” va considerato il dato sulla rappresentatività del Parlamento.

Nel 1861 l’Italia aveva 22.176.477 di abitanti. Il voto era limitato ai soli maschi di almeno 25 anni, alfabetizzati e di un censo elevato (per pagamento di imposte o appartenenza a determinate categorie). Così erano iscritti alle liste elettorali in 418.695 e i votanti alle prime elezioni italiane furono 239.583: praticamente il 2% di aventi diritto e 1% di votanti. Eleggendo, su 443 deputati, un centinaio di nobili e il resto di alta borghesia e militari.

Nel 2013 l’Italia ha 60.782.668 di abitanti. Gli iscritti alle liste elettorali, in ragione del suffragio universale, sono 46.905.154, i votanti alle politiche 35.270.926. In pratica ha avuto diritto al voto il 77,1 della popolazione e ha votato il 58.2 della popolazione (degli elettori il 75,2%), per eleggere 945 fra deputati e senatori.

Eppure Il modello della forma di governo è – in buona sostanza – analogo, allora come ora. Ma il divario nei numeri è così eclatante che non hanno bisogno di commento. Anzi, ad aggravare la “diluizione” della rappresentanza va considerato quanto oggi sia diversa la nostra società da quella ottocentesca, con lo sviluppo dei mezzi di trasporto, di comunicazione, di informazione, della cultura, e così via.

Ecco, allora la domanda ineludibile: possiamo pensare di far partecipare i cittadini alla forma di Stato e di governo ancora con i meccanismi dello Stato ottocentesco?

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