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Ecco come la Cei di Galantino scruta i conti di diocesi e parrocchie

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Una Chiesa italiana relativamente più povera. Che rilancia su trasparenza e maggiore coinvolgimento dei fedeli. E annuncia novità. È quanto emerge dal Convegno degli Istituti diocesani di sostentamento del clero (Idsc) che si è chiuso mercoledì a Roma e da quello di Vicenza per il centenario della Federazione tra le associazioni del clero in Italia (Faci). Le offerte dei fedeli destinate direttamente ai sacerdoti sono precipitate dai 18 milioni del 2005 agli 11 del 2014. Mentre fa riflettere il dato sull’otto per mille: le firme dei contribuenti sono in calo, ma il gettito è in aumento.

“PARROCCHIE, TIRATE FUORI I VOSTRI BILANCI”

“Come fedeli e cittadini abbiamo il dovere di essere trasparenti”. Questa la consegna del segretario generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino (in foto), alle 226 diocesi italiane. Da anni la Conferenza episcopale dà conto di come utilizza le risorse economiche affidatele dai cittadini. “Dobbiamo ancora crescere – ammette Galantino – ogni comunità parrocchiale ha diritto di conoscere il suo bilancio contabile, per rendersi conto di come sono state destinate le risorse disponibili e di quali siano le necessità concrete della parrocchia perché sia all’altezza della sua missione”. Anche sul fronte delle diocesi si può fare di più. In gennaio lo stesso Galantino aveva assicurato che “i bilanci delle diocesi si trovano sui loro siti internet e sui settimanali diocesani”. Padova (qui) e la più piccola Imola (qui), ad esempio. Ma qualcuno se ne dimentica. Torino, Milano e Roma hanno recentemente confermato all’agenzia Adista che “effettivamente i dati non sono sul sito internet diocesano”.

QUANTO FA 8 X MILLE?

Il sistema dell’otto per mille è entrato a regime nel 1990. Allora firmava per la Chiesa cattolica il 76% dei contribuenti italiani. Percentuale subito salita, fino a sfiorare il 90% nel 2005 (89,82%). Se si guarda alle cifre assolute, il picco si ha negli anni di Ratzinger: nel 2010 si è toccato il record di 15.604.034 firme. Per capire se ci sarà o meno un “effetto Francesco” occorrerà attendere ancora qualche settimana. Lo Stato si prende tre anni per contare le scelte espresse dai contribuenti. L’ultimo dato noto è relativo al 2013 – anno dell’elezione di Bergoglio – che registra un 80,91% di scelte per la Chiesa. Meno firme, ma compensate da un gettito Irpef in crescita. Tra anticipo e conguaglio 2013, la somma relativa all’otto per mille assegnata alla Chiesa per il 2016 è pari a un miliardo e diciotto milioni. L’anno precedente era di 995 milioni.

DOVE VANNO I SOLDI DEI FEDELI

Ogni anno i vescovi determinano la suddivisione dei fondi per le tre finalità previste dalla legge: sostentamento del clero, esigenze di culto e interventi caritativi in Italia e nei Paesi del Terzo Mondo. E ne dà un report costantemente aggiornato su siti dedicati (qui e qui). Nella ripartizione dei fondi approvata a maggio scorso, la fetta maggiore è finita a culto e pastorale, con quasi 399 milioni. In quelle voci di spesa rientrano anche i cantieri di restauro di beni artistici e culturali. Nel 2016 erano 920 i cantieri aperti. Degli ultimi fondi ripartiti, 350 milioni sono poi andati al sostentamento del clero, 270 agli interventi caritativi.

UN RISCHIO NEL SISTEMA

La centralizzazione del sistema per gli “stipendi” dei preti rischia di spezzare il legame diretto tra le comunità parrocchiali e i loro sacerdoti. Lo evidenzia il sottosegretario Cei, monsignor Giuseppe Baturi. Ricorda che dal 2008 al 2013 le donazioni liberali sono diminuite del 6%, e “non tanto a causa del problema economico, quanto della perdita di attrattività della causa della solidarietà verso il clero”. Nel 2015 i sacerdoti interessati sono stati 30.900. Per i loro stipendi servono 415 milioni lordi. Quindi retribuzioni modeste, di circa mille euro netti. Il fabbisogno è stato coperto per il 10% dalle diocesi, per il 2,5% dalle offerte specifiche dei fedeli e per l’85% dai fondi dell’otto per mille. Per Baturi il sistema va riequilibrato: “Se al sostentamento del sacerdote non pensa tanto la sua comunità, quanto un ente centrale, il rischio è che il sacerdote concepisca il suo ruolo in termini solo di prestazione d’opera”. Del resto, la ratio perseguita dalla Cei è di sgravare l’otto per mille dal capitolo retribuzioni al clero, per liberare ulteriori risorse verso opere pastorali e caritative.

REFERENDUM ANNUALE

Matteo Calabresi, responsabile Cei per la promozione del sostegno economico alla Chiesa cattolica, fotografa l’attuale situazione sulla firma dell’otto per mille: “Se fino a qualche anno fa era sostanzialmente una firma di appartenenza, oggi è sempre più una firma di giudizio, un referendum annuale sulla percezione che ciascun individuo ha sull’operato della Chiesa”. Chi firma vuole sapere che fine fanno i suoi soldi, per quali progetti vengono utilizzati. Non sempre la Chiesa italiana è all’altezza di questo compito. Lo riconosce don Ivan Maffeis, portavoce Cei: “Negli ultimi dieci anni mai la Chiesa ha toccato livelli di scarsa credibilità come lo scorso anno, e proprio per una cattiva gestione del denaro”.

GESTIONE SINODALE

Per Venerando Marano, coordinatore dell’Osservatorio giuridico-legislativo della Cei, “la trasparenza è una prospettiva necessaria e irreversibile per la Chiesa”. Marano ricorda che i rilievi mossi dalla Corte dei Conti alla Chiesa vertono proprio su “scarsa trasparenza nella predisposizione dei bilanci, dei rendiconti, di persistente opacità in alcune attività”. In futuro è urgente “andare verso una gestione condivisa e razionale dei patrimoni”, sottolinea monsignor Giovanni Soligo, presidente dell’Istituto centrale per il sostentamento del clero. Occorre “scoprire la sinodalità nella gestione dei beni ecclesiastici anche con i laici e le loro professionalità”, indica il vescovo di Foligno, Gualtiero Sigismondi: “Su quel patrimonio c’è l’ipoteca del popolo di Dio”. Non è affare (solo) di preti che, anzi, spesso accusano il peso delle “faccende burocratiche e amministrative”. “E questo spesso accade – aggiunge Sigismondi – perché non si condividono i pesi”. Va in questa direzione il richiamo di Galantino alla corresponsabilità: “Il presbitero troppo spesso delega ad altri la propria responsabilità o, al contrario, accentra su di sé tutta l’amministrazione”. Aveva detto qualche giorno fa al Convegno della Faci il consigliere nazionale dell’ente, monsignor Umberto Oltolini: è strategico “coltivare il rapporto con i laici competenti” e questo “per motivi comunionali e non solo per alleggerire il lavoro del parroco”.

DUE NOVITÀ IN VISTA

I parroci sono responsabili amministrativi e giuridici delle parrocchie. Ma, ammonisce l’economo Cei, Mauro Salvatori, intervistato dal Sir, “un conto è quando il parroco svolge un compito di regia attorniandosi di laici con competenze professionali. Altro è un parroco che esercita la propria responsabilità come un re. Questo non può più verificarsi. Spesso, poi, ci sono stati professionisti che si sono approfittati dell’ingenuità dei parroci”. E annuncia: “Vorremmo che così come ci sono dei mandati ecclesiali per i catechisti, ci siano anche per coloro che svolgono un’attività nel consiglio affari economici della parrocchia. È benvenuta la presenza di un avvocato, un ingegnere o un commercialista, ma questo non deve avvenire nel nascondimento. Deve esserci un momento pubblico in cui la comunità affida un mandato”. Inoltre, dall’estate, la Cei riformerà il sistema di assegnazione dei contribuiti, che avverrà sempre più solo in base a progetti specifici in base alle priorità stabilite dal vescovo. E dopo “si provvederà a fare una rendicontazione dei risultati”. Pubblica. Insomma, spiega Salvatori, “non ci fermiamo all’utilizzo dei soldi messi a bilancio, ma vogliamo anche sapere se i risultati ottenuti sono soddisfacenti”.

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