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Come abbattere il debito pubblico? Le idee di Cottarelli, Parisi, Puglisi e Rossi

“In economia non ci sono trucchi”. E il debito pubblico non è altro che un “Macigno”, o meglio un iceberg, contro cui si sono irrimediabilmente scontrati, uno dopo l’altro, i vari governi italiani. E i premier si ritrovano a vestire i panni di quel capitano di nave, cantato da De Gregori, che dice al mozzo “io non vedo niente, c’è solo un po’ di nebbia che annuncia il sole. Andiamo avanti tranquillamente”. Con questo paragone si è aperta la presentazione del libro Il Macigno, edito da Feltrinelli, (pp. 175, euro 15), tenutasi a Milano nelle sale di Palazzo Reale. Al fianco dell’autore, l’economista Carlo Cottarelli, c’erano anche Stefano Parisi, ex candidato sindaco di Milano, e altri due economisti: Nicola Rossi e Riccardo Puglisi. La missione dell’incontro: discutere della disastrosa condizione economica in cui versa oggi l’Italia e come/se è possibile uscirne.

Ma chi è l’autore? Carlo Cottarelli non è altri che il tecnico chiamato nel 2013 dal governo Letta per occuparsi della spending review da applicare alla politica. Il suo ruolo di “commissario straordinario per la revisione della spesa pubblica” però, durò solo un anno. Perché Matteo Renzi, una volta in carica, nel 2014 lo rispedì senza mezzi termini al Fondo monetario internazionale da cui Cottarelli era venuto. Cottarelli ora è al Fondo monetario internazionale.

Le carte, dunque, Cottarelli le conosce. E per questo è in grado di spiegare come l’Italia oggi sia più simile al Titanic di quanto possiamo immaginare. Il pareggio di bilancio, l’ultimo, si è avuto nel 1875 e nel 1876, anni in cui la destra storica era al Governo. Oggi, invece “con il debito al 133% del Pil non possiamo certo stare tranquilli”. La questione è che, in fatto di debito pubblico, siamo insuperabili. O quasi. Rispetto a noi, in termini di debito rispetto al prodotto interno lordo, peggio c’è solo la Grecia. Per Cottarelli, siamo paragonabili anche al Giappone, con una differenza, però abissale: nel paese orientale per eccellenza, infatti, il 90% del debito è in mano ai residenti. In Italia solo il 60%. E così, se in Giappone il debito si trasforma un po’ in un “ridare dei soldi ad amici e parenti”, in Italia la questione invece si fa più difficile e fuori dalla portata dei “comuni mortali”. Oggi nel nostro Paese abbiamo qualcosa come 2170 miliardi di debito che, diviso per i circa 60 milioni di abitanti, fa circa 36 mila euro a testa. Un vero e proprio “Macigno”.

E quindi che fare? In sostanza la ricetta è semplice: “Per rimettere in piedi l’Italia”, spiega Cottarelli, “ci vogliono privatizzazioni, riforme strutturali e un moderato livello di austerità”. Tre sono le ipotesi analizzate dall’autore, con pro e contro. “La prima soluzione sarebbe ripudiare il debito”, spiega, “ma questo comporterebbe alti costi in termine di reputazione e non costituirebbe in ogni caso un’alternativa all’austerità”. “La seconda soluzione”, invece, “sarebbe il ritorno alla lira. Ma questo presenta molti rischi senza dare la certezza di risolvere il problema del debito pubblico”. Per ultimo, Cottarelli esamina l’ipotesi di “mutuizzare il debito con gli altri paesi dell’Unione Europea”. “Un’utopia”, conclude l’autore, “perché in realtà noi dovremmo guardare all’esterno e prendere esempio da modelli positivi come la Spagna e il Portogallo dove i governi hanno abbassato i costi di produzione tagliando le tasse e aumentando la produttività con la conseguente crescita di esportazioni e dunque la crescita economica del paese”.

Per Stefano Parisi, a capo di Energie per l’Italia, “è inutile illudersi. Oggi, qualsiasi soluzione al problema del debito pubblico non può che essere di lungo periodo”. “Le politiche di Renzi”, ha spiegato l’ex candidato sindaco di Milano, “i vari bonus e sconti, non erano altro che politiche di comunicazione. Quel che serve è un mandato lungo, di almeno cinque anni, perché quello che è davvero necessario è la stabilità politica”. Parisi ha così illustrato alcune tra le proposte di Energie per l’Italia. “C’è il modo di aggredire l’enorme problema del debito pubblico, ma che le ricette sono necessariamente molto impegnative. Non basta una legge di bilancio. Renzi ha avuto una finestra di flessibilità di 26 miliardi dall’Europa bruciati in misure inefficaci. Aumentare la spesa corrente non fa riprendere l’economia. Servono stabilità e serve dare certezze alle famiglie. Servono più posti di lavoro e stipendi nelle famiglie per creare ricchezza. La politica non ama affrontare la spending review. Invece il tema è affrontabile in tre modi: l’amministrazione deve fare meno cose: meglio far fare le cose ai privati quando dimostrano di saperle fare meglio. Altrimenti il 60 per cento dei giovani continuerà a non lavorare. Inoltre serve la trasformazione digitale della Pa. Infine devono cambiare i modelli di contabilità, serve la possibilità di valutare le performance del pubblico, il controllo di gestione va fatto come nelle imprese private non dai giuristi ma da persone esperte di gestione”.

A concordare con Parisi sugli impatti negativi della costante instabilità del panorama politico sull’economia italiana è l’economista Riccardo Puglisi, mente del movimento di Corrado Passera poi chiuso dall’ex banchiere. “Uscire dall’euro”, per Puglisi, “implicherebbe più rischi che certezze”. “Oggi bisogna abbandonare cure palliative”, ha continuato l’economista, “in economia non ci sono trucchi. Non basta mixare le imposte per crescere, vanno ridotte”.

Più duro invece è il punto di vista dell’economista Nicola Rossi che vede, nel futuro più prossimo, “un asse franco-tedesco” alla guida dell’Europa e un’Italia che si inginocchierà, irrimediabilmente, a causa della sua debolezza economica. “La politica è sorda”, ha commentato Rossi, “è cieca davanti ai problemi dati da una crescita troppo lenta e frenante, soprattutto nel Sud Italia”.

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