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Cosa è successo davvero a Jidideh

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Mentre gli Stati Uniti inviano altri 240 uomini sul fronte di Mosul, le polemiche crescono sullo strike dell’aviazione Usa del 17 marzo che ha colpito il quartiere occidentale di Jidideh, causando la morte di oltre 200 civili. Il Pentagono ha avviato un’inchiesta e ha ammesso che i propri aerei quel giorno hanno colpito un obiettivo a Jidideh. Ma si sostiene anche che il collasso dell’edificio sotto il quale è rimasta la gran parte delle vittime potrebbe essere stato provocato da esplosivi piazzati sul posto da miliziani dello Stato islamico. Sta di fatto che, sul posto, si sta ancora scavando per estrarre dalle macerie i corpi.

L’episodio non può essere compreso se non nel contesto di un conflitto che si va acuendo giorno dopo giorno. L’offensiva per la liberazione di Mosul era iniziata nell’ottobre dell’anno scorso e ha condotto, nell’arco di tre mesi, all’espulsione dalla zona sulla riva orientale dell’Eufrate di tutti i combattenti dell’Isis. Dopo un mese di pausa, le operazioni sono riprese a febbraio con l’obiettivo più arduo di espellere lo Stato islamico dai quartieri occidentali, dove si trova la città vecchia di Mosul: un infernale dedalo di viuzze e cortili che costituisce il teatro perfetto per la resistenza islamista.

L’offensiva, portata avanti dall’esercito iracheno col supporto degli aerei e delle postazioni di artiglieria degli Usa, ha subito raccolto importanti risultati, ma si è presto trasformata in un letale corpo a corpo nel contesto di una città ancora piena di civili, circa 700 mila, intrappolati tra i colpi dei cecchini dello Stato islamico, quelli delle forze alleate e i bombardamenti dall’alto.

Alla popolazione di Mosul è stato consigliato, attraverso lanci di volantini, di rimanere in casa, per non rischiare di trovarsi in mezzo ai feroci combattimenti. Nel frattempo, si è insediata l’amministrazione Trump, che ha subito palesato l’intenzione di accelerare i tempi della guerra contro il califfato. Da qui, la decisione della Casa Bianca di rendere più flessibili le regole d’ingaggio che, fino a quel momento, avevano costretto i comandanti sul terreno ad attendere la luce verde di Washington per qualsiasi operazione, inclusi i bombardamenti di obiettivi a rischio di causare morti civili.

Il cambiamento è stato salutato con entusiasmo dall’esercito iracheno, che vede nella maggior determinazione dell’alleato Usa la garanzia di maggior efficacia nelle operazioni militari in corso. Ma il prezzo ora, secondo i critici della Casa Bianca, rischia di essere pagato proprio dalla popolazione di Mosul, schiacciata nella morsa dei combattimenti. Gli ufficiali iracheni intervistati dal New York Times sostengono che tale costo è sopportabile, considerati i vantaggi.

Ma vaglielo a spiegare all’opinione pubblica occidentale, notoriamente avversa a quelli che sono definiti “danni collaterali”.

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