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Perché io, conservatore, critico il bizzarro conservatorismo di May, Merkel e Trump

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Ma che cosa gli frulla per la testa a questi sedicenti conservatori che fanno di tutto per non esserlo? Theresa May, premier britannico, ha appena varato un piano di tasse e di spesa pubblica che avrebbe fatto inorridire Margaret Thatcher, contraddicendo tutta la politica conservatrice da Winston Churchill a David Cameron.

Donald Trump, gettando a mare l’aurea regola dell’equilibrio alla quale si sono sempre attenuti i presidenti americani repubblicani, almeno da Dwight Eisenhower fino a George W. Bush (in particolare Ronald Reagan che forse più di ogni altro nel Novecento ha meglio interpretato lo spirito conservatore in politica), sta mettendo in seria difficoltà il partito che lo ha candidato con il suo tumultuoso e confusionario programma d’inizio mandato, comprese le sconnesse accuse a Barack Obama di averlo fatto spiare.

La cancelliera tedesca Angela Merkel, per quanto “popolare” annoverata comunque nella famiglia conservatrice, è forse il capo di governo meno “identitario” tra coloro che hanno guidato la Germania nel dopoguerra tra i leader della Cdu/Csu: il suo filo-islamismo è imbarazzante e potrebbe costarle la riconferma. Per non dire di ciò che accade in Francia. Il campo gollista, notoriamente “conservatore”, è squassato dalla vicenda che ha Fillon come protagonista: se fosse in vita il Generale lo avrebbe cacciato come alcuni dei suoi compagni di cordata, a cominciare da Sarkozy la cui ispirazione politica è stata tutt’altro che di segno conservatore come, paradossalmente, i suoi scritti e discorsi precedenti l’elezione del 2007 facevano presagire: ha tradito se stesso, insomma.

Vale ciò che si dice interrogandoci sulla decadenza della politica in Occidente: quando vengono meno le culture di riferimento, i principi informatori di un’azione di governo coerente con la storia di chi dovrebbe continuarla rinnovandola, il “sentimento” di un’appartenenza per cedere – nella migliore delle ipotesi – ad un pragmatismo dettato dall’occasionalità, crolla non soltanto la credibilità, ma anche il progetto in base al quale si sono raccolti i consensi. L’elettorato come dovrebbe giudicare la May, Trump, la Merkel e compagnia suonante strumenti scordati?

Sotto i tetti del conservatorismo occidentale s’è installato un virus statalista ed assistenzialista; in qualche caso perfino xenofobo (le iniziative di Trump sull’immigrazione sono suicide). Un virus che farebbe inorridire coloro che hanno tentato negli ultimi due secoli e mezzo di ristabilire un ordine concettuale fondato sull’equità e la responsabilità, inclusivo nella visione della nazione plurale nella quale possano avere cittadinanza tutte le diversità purché fedeli allo Stato garante delle tutele e protettore della composita comunità civile.

L’astrattismo individualista ha finito per contagiare il conservatorismo contemporaneo che tanto nei Paesi anglosassoni quanto in quelli dell’Europa continentale si è piegato alle logiche di un welfare che ha innescato dinamiche sociali contraddittorie favorendo il naufragio della buona amministrazione, per esempio in Paesi come la Gran Bretagna e la Francia prima dell’avvento di Hollande che ha portato la catastrofe ai limiti estremi. L’impoverimento dei popoli è direttamente derivato dalle politiche “caritatevoli” adottate per evitare conflitti che non vengono evitati affatto, come la realtà dimostra.

I governi conservatori – almeno finché sono stati ispirati a politiche sociali ragionevolmente rigoriste e non pauperiste proprie di quelli socialdemocratici – hanno cercato di salvaguardare i ceti socialmente meno garantiti con un’espansione della ricchezza nazionale fondata sul risparmio e sull’iniziativa privata ferreamente regolata da uno Stato non vessatore, ma fiscalmente intransigente. E, per di più, hanno battuto in breccia (non sempre riuscendoci) le forze che apertamente puntavano sulla dissoluzione dell’unità nazionale, vuoi di ispirazione social-comunista, vuoi di influenza iperliberista sostenuta dai “poteri forti” veicolatori di un “pensiero unico” sul versante culturale con l’obiettivo di uniformare le società ad un consumismo di massa, anticamera del morbido totalitarismo che si va affermando a scapito delle differenze e delle identità.

Se la May pensa di risolvere i problemi della Gran Bretagna, dopo la Brexit, aumentando le tasse (come mai prima un governo conservatore), vuol dire che ha pochi argomenti per convincere i suoi connazionali della bontà di una politica che neppure Tony Blair si è permesso di attuare in momenti forse più felici per l’economia del suo Paese. Ma soprattutto non si rende conto che il gettito fiscale diminuirà – l’Italia insegna – ed allora addio alla dilatazione della spesa pubblica che pure insanamente si propone di favorire superando i livelli attuali.

Su un piano diverso sta Trump. Si conferma un “falso” conservatore. I suoi atteggiamenti non seguono il cliché di un mondo che ha espresso un sentimento della vita ben diverso da quello che si evince dal suo stile. Infatti il partito – che si è fatto ingabbiare dalla sua propaganda quando poteva arginarlo, ben prima delle primarie – non lo segue. Un conservatore non alimenta gli scontri, ma li sopisce; tende ad unificare, non a dividere; ascolta e decide. Non sappiamo se il presidente americano sia un gran lettore, ma se pure non è lo è qualcuno, come lo “stratega” Stephen Bannon (si dice estimatore di Julius Evola), dovrebbe consigliargli la lettura di Profiles in Courage di John Fitzgerald Kennedy, l’elogio dei valori e delle virtù di otto politici americani che hanno illustrato la loro missione politica a costo di rimetterci, con coraggio appunto, rifiutando di vellicare gli istinti primordiali per trarne vantaggi. Un testo profondo, appassionato di un vero conservatore, forse inconsapevole, la cui frontiera era l’etica della responsabilità. Non è importante la circostanza che sia stato “democratico”. Un democratico molto sui generis.

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