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Ecco la ricetta del Ppe su crescita, difesa, Libia, Russia (ma l’austerity non si tocca?)

Ppe, Angela Merkel

Equilibrio nei bilanci, libera concorrenza, nuovi investimenti e poi trovare un accordo sull’immigrazione, riformare la difesa militare comune e infine le istituzioni per renderle più trasparenti: questi gli ingredienti con cui il Partito Popolare Europeo proporrà di cambiare un’Europa che non sta andando a gonfie vele.

Al termine della convention del 29-30 febbraio a Malta, i popolari europei hanno votato all’unanimità un documento finale: “L’Europa garantisce il nostro futuro”. Si affrontano molte delle sfide che l’UE ha davanti oggi. Pochissimi invece i riferimenti agli errori fatti in passato, e in particolare nessun ripensamento sulle tanto discusse politiche di austerity. Non dovrebbe stupire, se si pensa che tra le punte di diamante del partito spiccano i nomi della Cancelliera tedesca Angela Merkel e del presidente della Commissione Jean Claude Juncker, protagonisti degli alti e bassi che l’UE ha attraversato durante gli anni della crisi economica.

In quindici pagine, tutti i punti del programma per rialzare l’Unione a 27 dopo l’urto della Brexit. Ecco i punti salienti:

1) SPESA? NO GRAZIE

Stabilità fiscale, competitività, riforme strutturali sono le tre parole che ricorrono nel documento per rilanciare l’Unione Economica e Monetaria. Se sembrano familiari non si tratta di un semplice dejavù. Sono i cardini del disegno neoliberale da cui è nata l’Unione Monetaria negli anni ‘90. Non è un caso che durante il congresso a Malta Keynes e la spesa pubblica siano risuonate come parole poco meno che eretiche, da lasciare ai socialisti. Al posto di spesa ricorre piuttosto la parola investimento: senza investimenti pubblici e privati non c’è crescita, e per incoraggiare gli investimenti privati “è necessario ricreare, senza esclusioni, un ambiente favorevole all’imprenditorialità – soprattutto per le PMI in tutti i settori economici – un sistema bancario solido, abbondanza di venture capital e un’adeguata domanda interna”. L’investimento pubblico deve rivolgersi a settori come l’educazione, la difesa, le infrastrutture, e infine la ricerca e lo sviluppo, per cui il programma Horizon 2020, un investimento da 80 miliardi in 7 anni nell’innovazione tecnologica, costituisce un ottimo inizio.

Gli strumenti di controllo del budget devono rimanere per assicurare la stabilità del sistema: e al centro resta sempre quel Patto di Stabilità e di Crescita che continua ad essere l’unico strumento utile a bilanciare gli choc futuri.

Pochi e vaghi gli accenni sulle politiche di occupazione e sull’obiettivo del pieno impiego, mentre si promette di fare la guerra all’evasione fiscale, ai monopoli e al dumping commerciale che minano il libero scambio. In un momento in cui il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership) con gli Stati Uniti è naufragato e il CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) con il Canada è condannato a far la stessa fine per il voto contrario della Vallonia, una regione del Belgio, i popolari non disperano e continuano a difendere gli accordi di libero scambio, che “ci rendono più competitivi e efficienti […] oltre a creare più posti di lavoro e promuovere la prosperità in tutta Europa”

2) LA SICUREZZA A RISCHIO

Sul piano della sicurezza, tre sono le minacce incombenti sull’UE: l’immigrazione incontrollata, il terrorismo islamico e l’instabilità del Mediterraneo.

Per far fronte all’immigrazione dal Sud e dai Balcani l’idea è quella di ripartire dai Regolamenti di Dublino ma con una maggiore assunzione di responsabilità degli stati membri nella condivisione delle quote di rifugiati. Nessuna marcia indietro sull’accordo sui migranti con la Turchia di Recep T. Erdogan, difeso con passione da Angela Merkel nel suo discorso all’assemblea plenaria di giovedì: non solo non è da ripensare, ma è “da implementare rapidamente” insieme alle “disposizioni relative al rimpatrio e alla riammissione dei migranti regolari”.

Sulla prevenzione del terrorismo il PPE chiede maggiore cooperazione di intelligence e un’armonizzazione delle legislazioni vigenti, mentre per la difesa comune è necessario rispettare gli impegni con la NATO e in particolare quello di “spendere il 2% del PIL nella difesa”. I due strumenti che rilanceranno l’investimento sulla difesa saranno il Fondo di difesa dell’UE e l’istituzione delle Forze Armate Europee.

Per garantire la stabilità nel Mediterraneo la Libia sarà la chiave di volta. Qui il programma dei popolari non ha dubbi: si può favorire la pace nel paese martoriato e sconfiggere Daesh solamente “creando una coalizione intorno al governo legittimo”. Il riferimento è chiaramente per il governo di Fayez al-Sarraj, l’unico appoggiato e riconosciuto legittimo dall’ONU.

Non poteva mancare infine un riferimento al presidente russo Vladimir Putin, in un paragrafo che sa di Guerra Fredda e porta il nome di “Risposta alla minaccia russa”. La NATO dovrà servire da garanzia per il rispetto del principio di territorialità e l’UE si impegnerà a combattere la “guerra di informazione” russa, “parte integrante dell’attacco di Putin all’Europa”. Aver invitato il Presidente ucraino Petro O. Porošenko alla convention di Malta è stato di per sé un chiarissimo schieramento di campo.

3) UN’UNIONE A PORTATA DEI CITTADINI

Il terzo leitmotiv del programma popolare è riportare la trasparenza nelle istituzioni UE e garantire democrazia nei processi decisionali. In questa sezione l’autocritica sugli anni di governo passati è scarsa se non del tutto assente. Se gran parte della diffidenza dei cittadini europei verso le istituzioni viene dal fatto che non sempre è chiaro cosa si faccia a Bruxelles o a Strasburgo, il tema non sembra prioritario per i popolari. Le istituzioni europee avranno sì bisogno di essere più trasparenti nel loro operato e perfino di qualche aggiustamento, ma nulla di sostanziale dovrà cambiare. Il PPE difende il metodo comunitario, “in quanto si è dimostrato democratico, trasparente ed efficiente”. Nessuna riforma istituzionale all’orizzonte, come qualcuno si auspicava, se non rendere più efficiente il Parlamento in un sistema che ormai da anni lo vede del tutto subordinato al Consiglio.

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