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Cara Camusso, senza voucher chi ci guadagna?

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Cui prodest? La domanda, cara Susanna Camusso, dopo la cancellazione per decreto dello strumento voucher, è intellettualmente d’obbligo se si vuole fare luce/chiarezza su un materia complessa e senza dubbio dai delicati riverberi sociali, ma assolutamente dirimente per il futuro dell’Italia.
Non sarà sempre possibile, d’altro canto, dare la colpa agli altri se la macchinosità della politica nostrana non produce soluzioni ma generiche sanatorie e rimanda ad un domani che rischia di essere un salto nel vuoto: vale nel lavoro come nella politica industriale, in quella della logistica portuale come nelle liberalizzazioni dei servizi, nella sanità come nei rapporti con le macro economie. Per giunta anche la Fondazione studi dei Consulenti del lavoro ha alzato il dito per eccepire e osservare come per quei voucher acquistati sino allo scorso 17 marzo scatterà il bisogno di gestire un rapporto di lavoro, nei fatti, senza regole.

Due passi domenicali in una soleggiatissima lingua di mare nel Mezzogiorno d’Italia mi hanno portato ad ascoltare sensazioni e disagi. Eccone qualcuno.
Un avvocato titolare di uno studio legale internazionale si duoleva del fatto di essere a rischio “legalità”. Aveva immaginato di utilizzare i voucher per un’addetta alle pulizie da impiegare per quattro ore a settimana nel proprio studio. Oggi ha davanti a sé tre strade: scegliere l’annosa e labirintica strada del contratto con busta paga, con annessi consulenti del lavoro e cavilli interminabili per sole 32 ore mensili, ricorrere al nero oppure fare a meno della persona in questione. A naso potrebbe essere tentato dalla seconda.
Un artigiano che propone i suoi prodotti nelle fiere di tutta Italia, sino a ieri era ben contento di utilizzare i voucher per gli addetti agli stands che, nelle singole città, gli erano di aiuto per quei due o tre giorni a fiera. Inimmaginabile, obiettava, guardare per una manciata di ore, ad altri strumenti farraginosi con una coda burocratica lunga e faticosa.

Un commerciante di prodotti ittici, che necessita di collaboratori nei suoi punti vendita soprattutto la domenica, si morde le mani perché per un giorno a settimana, quindi quattro al mese, avrebbe gradito non poco la soluzione dei voucher. Anche per facilitare l’approccio a quei ragazzi a cui, tra gli studi universitari settimanali, faceva comodo una giornata di lavoro per far quadrare il bilancio.
Un impiegato aveva individuato una signora a cui affidare la compagnia dell’anziana madre per poche ore a settimana, diluite in tre mattine. Un salto dal parrucchiere, una passeggiata in centro, la piccola spesa quotidiana. Il voucher sarebbe stato di aiuto a quel dipendente pubblico e all’accompagnatrice di cui l’anziana signora ha un dannato bisogno.

Infine il proprietario di un ristorante sottolineava che nel suo locale è nel fine settimana che si concentra una maggior affluenza, quindi dal venerdì sera alla domenica sera gli avrebbe fatto comodo usare i voucher per due camerieri in più a cui difficilmente potrà rinunciare, se vorrà mantenere alto il profilo della sua offerta e il ritmo serrato a cui la bella stagione lo condurrà.

Cinque piccoli esempi, corredati da una chiusa dolente comune, che ci offrono un micro spaccato di vita reale: quella a cui poi gli strumenti immaginati dalla politica sono diretti; quella che a fine mese deve far quadrare i conti tra entrate e uscite; quella che vorrebbe solo avere più commesse per far lavorare di più tutti, ma che spesso non può farlo anche per via di bastoni “ideologici” tra le ruote; quella che si dispera perché ogni cambiamento in questo Paese è fonte di rottura e quindi di mesto ritorno al passato; quella che, alla fine della fiera, è tentata di chiudere baracca e fuggire all’estero.

twitter@FDepalo

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