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Che cosa devono insegnare gli arresti di jihadisti a Venezia

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Il ponte di Westminster è in provincia di Venezia. Dopo l’ultimo e recente (22 marzo) attentato davanti al Parlamento di Londra, il terrorismo di matrice islamica si preparava al grande gesto di violenza anche in Italia. A due passi da casa, addirittura, nell’universale Venezia, “perché mettendo una bomba al Rialto guadagni subito il paradiso”, secondo quanto si dicevano al telefono, fortunatamente intercettato, i tre kosovari ieri arrestati.

Immaginavano, costoro, tutti trentenni più un quarto minore fermato, di fare centinaia di morti. Gente esaltata che i nostri investigatori seguivano da tempo, e forse sarà pure arrivato il momento di elogiare le forze di polizia e i servizi di sicurezza del nostro Paese per lo straordinario lavoro che stanno compiendo in silenzio e senza pavoneggiarsi.

Gente che sembrava pronta a tutto, dunque, i sospettati ora catturati, ma uomini della porta accanto. Tranquilli camerieri in un paio di bar di San Marco. Sapevano essere bravi e cortesi coi turisti di giorno, questi quattro residenti nel pieno centro storico del capoluogo e da due anni in Italia. Eppure, “pronti a giurare e a morire per Allah”, come si dicevano la notte fuori dall’orario di lavoro. Bene integrati, perciò, senza dare segni di radicalismo neanche nei loro profili (monitorati) in internet. Ma uno di loro desideroso di combattere in Siria: e l’aveva proprio fatto.

Una scelta, al ritorno in Italia, che ha messo gli inquirenti sul chi va là, inducendoli a non perdere d’occhio la cellula di fanatici. E a intervenire con l’obiettivo di scongiurare il peggio.

Questa vicenda, sulla quale adesso spetterà alla magistratura accertare sia il livello, sia l’imminenza del pericolo, conferma che l’Italia non è una “penisola felice” rispetto a Francia, Germania, Belgio o Gran Bretagna. Nazioni che già hanno vissuto il lacrime e sangue del terrorismo sotto mentite spoglie.

Adesso scopriamo il jihadista che non t’aspetti anche da noi, alle prese con tramezzini e tazzine di caffè da servire con premura agli invece odiati occidentali. Ma scopriamo anche che il modo per evitare tragedie è uno solo: prevenirle.

Un compito che non può riguardare l’impegno solitario dei carabinieri, Digos e quanti pure stavolta hanno agito come dovevano. Sono i cittadini, innanzitutto, a dover guardare con serena attenzione quel che accade nel loro territorio, consapevoli di un rischio col quale, come europei, saremo purtroppo destinati a convivere a lungo.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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