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Dat, il cavallo di Troia si chiama eutanasia

dat, Cardinale Angelo Bagnasco

Prendo spunto dal recente editoriale apparso su Avvenire il 30 marzo scorso, a firma del prof. D’Agostino (Presidente nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici) e di seguito commentato – tra gli altri – da Marco Ferraresi (presidente della sezione di Pavia) e dal consigliere di Cassazione Giacomo Rocchi. In estrema sintesi, secondo il professore il ddl sulle Dat non sarebbe in alcun modo finalizzato a introdurre in Italia una normativa che legalizzi l’eutanasia e ogni interpretazione in tal senso sarebbe forzata e dunque sostenibile dai suoi avversari.

Bene. Anzi, male, visto che un’interpretazione in tal senso (eutanasico) è provenuta proprio da S.E. Card. Bagnasco (in foto), presidente della Cei (la quale è sostanzialmente l’”azionista” di riferimento dell’Unione Giuristi Cattolici), in una prolusione tenuta il 20 marzo scorso. Se la logica non mi inganna, il Card. Bagnasco dovrebbe dunque considerarsi un “avversario” della proposta di legge. Nel corso della prolusione, a proposito del testo del ddl, il Card. Bagnasco ha sottolineato che “la vita è un bene originario: se non fosse indisponibile tutti saremmo esposti all’arbitrio di chi volesse farsene padrone. Questa visione antropologica, oltre ad essere corrispondente all’esperienza, ha ispirato leggi, costituzioni e carte internazionali, ha reso le società più vivibili, giuste e solidali”.

Questo principio sì che ci riconduce alle finalità dell’Unione Giuristi Cattolici (v. art. 2, par. 1: “…contribuire all’attuazione dei principi dell’etica cristiana nell’esperienza giuridica“)!

Ecco perché mi permetto di condividere appieno, oltre all’intervento di Rocchi, la doverosa risposta di Marco Ferraresi dalle colonne della Nuova Bussola Quotidiana, il quale si è dissociato dalla posizione aperturista espressa dal Professor D’Agostino.

In linea con la risposta di Rocchi e Ferraresi, merita grande attenzione la correttezza e l’ineccepibilità giuridica espressa dalla dichiarazione del Centro Studi Rosario Livatino, che ha sottolineato come il testo di legge in analisi abbia un contenuto eutanasico. Nel testo, le dichiarazioni anticipate di trattamento sono infatti qualificate come “disposizioni” cui il medico non potrà sottrarsi. In questo senso, il limite pericoloso del testo è, tra gli altri, quello di non tener conto che successivamente a detta dichiarazione il giudizio del paziente sul suo stato di salute può sempre mutare! In sostanza, richiede al paziente di esprimersi “ora per allora”. Perché? Perché – ferma restando la prassi sull’accanimento terapeutico – si vuole svuotare la responsabilità di un medico dinanzi ad una dichiarazione vincolante che non troverebbe nemmeno più il limite nella già molto svalutata obiezione di coscienza?

E pensare che ho sempre creduto che la prassi e la deontologia medica fossero guidate dal principio per cui il medico salva, e non uccide (v. giuramento di Ippocrate). Ebbene, il ddl tramuta la vita come un bene relativo, rinunciabile. Ed ecco che il medico diviene un mero esecutore di disposizioni contrarie alla sua professione (quella di salvare la vita e di prendersi cura del malato). E gli incapaci ed i minori? La loro vita sarebbe nelle mani dei rappresentanti legali, superando così anche il principio di “autodeterminazione” tanto caro ai radicali.

Il testo della proposta di legge può pertanto essere interpretato (e neanche troppo difficilmente!) in chiave eutanasica. La tecnica sottile e già utilizzata dal legislatore in occasione della Legge Cirinnà introdurrebbe problemi interpretativi ed applicativi che porterebbero a facili abusi, nonché a sentenze creative e disparate che minerebbero la già debole certezza del diritto. Per questo occorre una posizione ferma che abbia una base oggettiva e valoriale (peraltro suffragata dai principi fondamentali dell’ordinamento, consacrati nella Costituzione e nei Trattati Internazionali). La vita non è un bene disponibile.

In un certo mondo cattolico deve essere pesante questo fardello, dal momento che provano da ogni parte a far passare dalla finestra della “prassi” (v. legittimare le disposizioni sul fine vita) quello che non possono far passare dalla porta della “dottrina”, dei principi. Ma se il comportamento di un medico non è orientato da principi (valori ed idee), finirà che sarà il comportamento a orientare questi principi, e così la prassi mutabile rischierà di influenzare principi immutabili. Con il rischio di estinguerci prima del tempo tradendo per giunta i principi della nostra civiltà.

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