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Chi ha raccolto i frutti politici delle inchieste anti casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

Rizzo, Stella, cazzola, casta

Su Il Foglio di lunedì scorso Francesco Cundari ha scritto un lungo, brillante e puntuale articolo in cui ha ricostruito il percorso che, dalla pubblicazione de La Casta di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella (la ‘’bibbia’’ dell’antipolitica) in poi, ha portato al fiorire di una vasta letteratura e di talk show televisivi che hanno maramaldeggiato  (ricordate che cose disse Francesco Ferrucci a Maramaldo: “Vile tu uccidi un uomo morto”?) con l’establishment politico della seconda Repubblica. Cundari sottolinea giustamente che l’obiettivo erano la caduta di Silvio Berlusconi e la fine del berlusconismo, allo scopo di tirare la volata al “governo dei migliori” (definizione allora molto in voga in taluni ben noti ambienti della cosiddetta società civile). Purtroppo, è stato Beppe Grillo a cogliere i frutti caduti per terra dall’albero scosso con tanta furiosa violenza.

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“Quanto alla possibilità di violare le disposizioni del procedimento senza che ciò ne infici la validità degli atti, appare opportuno valutare se la discrezionalità dell’amministrazione non rischi di risultare eccessiva, trovando l’unico limite nella irrimediabile compromissione del diritto di difesa del dipendente”. Il brano è tratto dalle schede illustrative prodotte dai Servizi studi di Camera e Senato e predisposte per l’esame, da parte delle Commissioni tenute a formulare un parere, dello schema di decreto legislativo attuativo della riforma (Madia) della Pubblica amministrazione (legge n.124 del 2015) riformulato dopo i rilievi della Consulta.

Benché il testo citato sia stato scritto con toni felpati, emerge tuttavia la preoccupazione che l’esercizio, secondo le nuove disposizioni, del potere disciplinare delle amministrazioni non rischi di coartare il diritto di difesa del lavoratore. Senza farla troppo lunga, i Servizi si sono accorti che le procedure previste soffrono di un’evidente schizofrenia. Si dilatano i tempi entro i quali devono concludersi i procedimenti sanzionatori (fino a 90 giorni), ma il loro superamento non comporterebbe più la decadenza della sanzione stessa. In sostanza i termini diventerebbero ordinatori come fanno notare i Servizi (“le modifiche proposte dal provvedimento in esame comporterebbero, quindi, la trasformazione dei termini del procedimento disciplinare da perentori a meramente ordinatori”. Inoltre, l’amministrazione starebbe in una botte di ferro perché sarebbe autorizzata a violare tutte le regole nel contesto di un solo limite veramente estremo: l’irrimediabile compromissione del diritto di difesa del lavoratore sanzionato. Come a dire: il diritto di difesa può essere conculcato, basta che non lo sia del tutto.

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Non siamo certo entusiasti del grado di disciplina del personale e di buon funzionamento delle amministrazioni pubbliche. Non ci sembra bello però arrivare, dopo una lunga prassi di lassismo, a fare il verso al marchese del Grillo: ‘’Io so’ io e voi non siete un c…o.’’

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Non sottovalutiamo i focolai di guerra accesi sullo scenario internazionale. La storia non si ripete mai nello stesso modo, ma spesso vengono nuovamente battuti i medesimi percorsi. La crisi del 1929 non si risolse in una giornata di panico per il crollo di Wall Street (con i banchieri che si gettavano dalla finestra), ma un processo durato anni, con alti e bassi, con apparenti soluzioni non risolutive (il bisticcio di parole è voluto) di nulla. La crisi condusse alla seconda guerra mondiale, dopo che erano saltati tutti gli ordinamenti istituiti per garantire la pace a conclusione della ‘’inutile strage’’ della Grande guerra. Paradossalmente il conflitto divenne anche il modo per uscire dalla crisi, grazie alle politiche di riarmo che prima o poi adottarono le nazioni belligeranti.

 

 

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