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Come va la ricerca in Europa?

Le aule del CNR hanno ospitato ieri il convegno “60 anni di Europa, 10 anni di ERC”. Un appuntamento importante per fare il punto dello stato della ricerca in Italia e sulla capacità di collaborazione tra i livelli nazionali ed europei. All’evento hanno partecipato nomi di primissimo piano sia della ricerca scientifica che della politica: dalla signora Ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli al Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, dal Presidente ERC Jean Pierre Bourguignon al Presidente del CNR Massimo Inguscio.

COS’È E COSA FA L’ERC

L’ERC (European Research Council) è un’agenzia dell’Unione Europea ci si occupa di finanziare la ricerca di ogni tipo di disciplina, da quelle scientifiche e tecnologiche a quelle umanistiche. L’ERC è stato istituito 10 anni fa, nell’ambito del Settimo Programma Quadro dell’UE ed è entrato in vigore con il Trattato di Lisbona nel 2007. L’agenzia si muove in base al solo criterio dell’eccellenza ed in base a questo sceglie se erogare i suoi finanziamenti (grant), divisi tra Starting Grants (StG) e Consolidator Grants e Advanced Grants per quest’ultimo possono essere erogati fino a 3,5 milioni di euro per 5 anni.

VALERIA FEDELI: “L’ITALIA SOLO OTTAVA PER FINANZIAMENTI ERC IN EUROPA”

La signora Ministro Valeria Fedeli ha sottolineato l’importanza per l’UE di fare squadra nel competitivo settore della ricerca scientifica. “La capacità di 27 paesi di unire le forze e trovare soluzioni comuni è un punto imprescindibile e una straordinaria necessità per l’insieme dei Paesi” – dice Valeria Fedeli nel corso del suo intervento – “La ricerca rappresenta uno di quegli ambiti in cui la collaborazione è stata di maggior successo e lo sforzo congiunto è stato ripagato, ne è un esempio Horizon 2020, un programma da 80 miliardi di euro in 7 anni che dà ai Paesi europei una struttura ed un programma condiviso per la ricerca e l’innovazione”. L’evento è stata anche l’occasione per fare il punto sullo stato della ricerca scientifica in Italia e sulle difficoltà del Paese nel competere con i partner europei. “L’Italia partecipa attivamente a queste iniziative ma abbiamo bisogno di fare di più. Questo è evidente nello specifico nel programma ERC, il nostro Paese si colloca all’ottavo posto per numero di Advaces Grants ottenuti, solo 15 contro i 65 dell’Inghilterra, i 63 della Germania, i 51 della Francia e i 22 della Spagna, per un totale dei finanziamenti attratti pari a 189 milioni di euro, solo il 4,8% dei finanziamenti totali disponibili. L’Italia dimostra ancora le sue difficoltà nell’attrarre capitali esteri” – prosegue il ministro Fedeli – “A questo si aggiunge che molti ricercatori italiani hanno scelto di lavorare presso altre istituzioni europee. Il MIUR è impegnato a realizzare le misure previste dal Programma nazionale per la ricerca 2015-2020, nell’ambito di questa attività grande attenzione viene posta agli ambiti della ricerca fondamentale, della ricerca industriale e del capitale umano. In questo contesto particolare attenzione è stata dedicata ad ERC, lo dimostra la misura FARE che lo scorso ottobre ha stanziato 10mln di euro rivolto a chi ha già vinto un Grant ERC e sta svolgendo il suo progetto in Italia. Vengono erogati tra i 300 mila e i 500mila euro per progetti di accompagnamento che dovrebbero creare le basi per il proseguimento della ricerca anche oltre la durata del progetto stesso. La procedura FARE ha avuto il successo che ci auspicavamo, la maggior parte dei potenziali beneficiari ha presentato la candidatura. La misura sarà rinnovata anche per i prossimi due anni”. Questi provvedimenti serviranno anche a trattenere i ricercatori italiani vincitori di grant ERC, dato che nel corso del convegno è emerso che 1/3 dei ricercatori italiani che ottengono finanziamenti UE scelgono di lavorare all’estero.

JEAN PIERRE BOURGUIGNON: “ERC FACILITA LA COLLABORAZIONE TRANSNAZIONALE”

Il Presidente dell’ERC Jean Pierre Bourgiognon ha avuto parole di stima nei confronti dell’operato del MIUR ed in particolare nei confronti del “FARE”, il programma che come illustrato dalla signora ministro Fedeli aggiunge finanziamenti ai grant dell’ERC. “Più che fare ottima ricerca, perché quella già la facciamo, occorre aiutare a crescere giovani ricercatori” – dice Bourguignon – “Ed per questo FARE è un ottimo strumento perché è necessario imparare che fare insieme è meglio che lavorare da soli. Ma non basta perché l’Italia deve diventare più attrattiva. In questo abbiamo bisogno dell’intervento dei policy makers affinché creino le condizioni che permettano alla ricerca di fiorire. L’ERC fa la sua parta supportando i ricercatori, certo, ma ha tra le sue finalità la stimolazione della collaborazione transnazionale”.

I MALI DELLA RICERCA IN ITALIA: LA IPER-BUROCRATIZZAZIONE DELLA PA E LA SCARSA INDIPENDENZA

Roberta Sessoli, ricercatrice dell’Università di Firenze che si occupa di nanotecnologia applicata al magnetismo, evidenzia almeno tre aspetti sui quali dovrebbe riflettere il mondo della ricerca italiano: la necessità di finanziare la base per far emergere le eccellenze, l’educazione all’autovalutazione e l’indipendenza dei giovani ricercatori, che spesso risulta difficile da dimostrare. Su quest’ultimo interessante argomento è tornato anche il Presidente del CNR Massimo Inguscio. “L’indipendenza si certifica sviluppando mobilità. Noi italiani siamo sostanzialmente stanziali, tendiamo a rimanere a studiare, anche all’Università, nella stessa città in cui abbiamo frequentato il liceo. È anche vero che nel mondo della ricerca a volte si creano dei miti” – dice il Presidente del CNR – “Chi si laurea in alcuni posti di elite, poi crede che sia il caso di rimanere lì e non allontanarsene. Per questo non riusciamo a dimostrare indipendenza, che sarebbe dimostrata invece se un ricercatore avesse lavorato con diversi professori ed università”.

Francesca Pasinelli, Direttore generale di Telethon, evidenzia, invece, un altro punto debole della ricerca italiana: la difficoltà di dialogo con la PA. “Una delle cose di cui soffre il nostro Paese tutte le volte che la base è chiamata a rispondere a finanziamenti è l’assenza di semplicità e dunque una certa farraginosità nei meccanismi di finanziamento legati a dei bandi che magari sono poco comprensibili o a dei sistemi di valutazione che sono poco comprensibili” – dice la dott.ssa Pasinelli – “Tre dei nostri relatori hanno parlato della necessità di cambiare le regole. Le norme della PA non si adattano alle esigenze della ricerca scientifica. Ci sono problemi anche nel reclutamento ad esempio è difficile reclutare personale straniero. Se una richiesta deve partire da qui è che vengano semplificate le regolamentazioni senza che questo gravi sulla trasparenza perché i vincoli della PA impediscono una competizione di alto livello che consenta di recuperare il gap con gli altri Paesi.

GAUDIO: “L’UE DEVE ESSERE COSCIENZA CRITICA DEL MONDO, ALTRIMENTI HA PERSO LA SFIDA CON LA STORIA”

Di gap da colmare ha parlato anche il Rettore de “La Sapienza” Eugenio Gaudio ma non solo per quello che riguarda l’Italia. “L’Europa è un’opzione dovuta senza possibilità di ritorno. Oggi abbiamo una competizione globale che ci mette davanti a sfide importanti: abbiamo una Cina in grande espansione, un’India che nel solo distretto di Bangalore ha facoltà di ingegneria e computer science, numeri che hanno superato quelli della Silicon Valley, e un’America Latina che sta arrivando” – dice il Rettore Gaudio – “Se l’UE non ha la forza di proporsi in maniera unita e compatta e svolgere il suo ruolo, che è un ruolo culturale, essere la coscienza critica del Mondo, l’UE ha perso la sfida della storia. L’Italia, in questo quadro, o si rende conto che il gap che ha maturato negli ultimi decenni la sta portando ad partecipare ad una “guerra culturale” con la metà dell’esercito (metà dei laureati, metà dei diplomati) di cui dispongono le sue concorrenti, e vi pone rimedio o rischia di scivolare verso la sponda sud del Mediterraneo”.

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