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Eni, Report e i tweet del Cane a sei zampe

Lunedì sera il programma d’inchiesta giornalistica di Rai Tre Report ha pubblicato due servizi che riguardano affari del Cane a sei zampe legati a una presunta maxi-tangente che il gruppo dell’energia avrebbe pagato in Nigeria con addentellati al salvataggio del quotidiano L’Unità. Argomenti complessi, che hanno reso a tratti confusi i reportage giornalistici messi in onda.

ENI IN NIGERIA

Il giornalista Luca Chianca ha cercato di seguire le tracce di una possibile tangente descritta come “la più grande al mondo”, un miliardo di dollari che sarebbero stati pagati da Eni per l’acquisto di un blocco petrolifero in Nigeria (il giacimento offshore OPL245): quei soldi, secondo l’accusa di “Report” sarebbero finiti direttamente nelle disponibilità personali dell’ex ministro del petrolio Dan Etete. La vicenda è già oggetto di un’indagine della procura di Milano, e l’accusa su cui è stato chiesto il rinvio a giudizio di una decine di persone (tra cui l’attuale amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi, dell’ex amministratore delegato Paolo Scaroni) è concorso in corruzione internazionale. La pista seguita da Chianca lo ha portato a Londra, a Ginevra, Lugano, New York, Washington e a Pointe-Noire in Congo-Brazzaville, dove sono stati arrestati dai servizi di sicurezza poche ore dopo l’intervista a Fabio Ottonello. Ottonello è un imprenditore italiano che adesso vive in Congo ed era stato indicato ai reporter dall’ex dirigente Eni Vincenzo Armanna come colui che affittò un aereo per far rientrare dei soldi cash in Italia. Secondo Armanna, che sarebbe a conoscenza dell’intera trattativa, una parte della tangente, circa 50 milioni, è poi tornata nella disponibilità dell’allora amministratore delegato Scaroni; soldi usati per pagare i facilitatori dell’affare. Queste informazioni sono supportate soltanto dall’inchiesta di “Report”, che ha incontrato come fonti per raccogliere informazioni un noto avvocato di Ginevra, un fiduciario svizzero del vice console italiano in Nigeria Gianfranco Falcioni, il quale per il programma è stato colui che ha tentato di far transitare il miliardo di dollari sui conti della Banca Svizzera Italiana di Lugano. Altro pezza d’appoggio, un’intercettazione di Ben Van Beurden, l’amministratore delegato di Shell (che con Eni era in joint ventures sull’affare nigeriano), che al telefono avrebbe parlato del coinvolgimento di ex agenti dei servizi segreti inglesi MI6 nella trattativa. “Report” è entrato in possesso anche di un documento confidenziale dell’intelligence estera inglese in cui si sostiene che la trattativa in Nigeria di Eni sarebbe frutto di un accordo tra Silvio Berlusconi e Vladimir Putin. L’inchiesta dei giornalisti italiani è arrivata anche negli Stati Uniti, dove è stata sentita l’investigatrice dell’Fbi Debra Laprevotte che “ha tracciato tutti i giri per il mondo dei pagamenti in dollari fatti con i soldi dell’Eni” spiega il servizio, riferendosi alle vie clandestine che quell’ipotetica tangente avrebbe preso.

IL SALVATAGGIO DELL’UNITÀ E IL GRUPPO PESSINA

Un altro dei servizi trasmessi dal programma Rai lunedì, firmato da Emanuele Bellano, riguarda il salvataggio dell’Unità. Nel maggio del 2014 il quotidiano fondato da Antonio Gramsci si trovava a un centimetro dal fallimento. Le pubblicazioni si fermano per alcuni mesi, finché a gennaio del 2015 non interviene in un’operazione di salvataggio il costruttore milanese Massimo Pessina, presidente di Pessina Costruzioni Spa (fornitore qualificato Eni), insieme al suo amministratore delegato Guido Stefanelli. “Come sono cambiate le sorti della Pessina Costruzioni da quando i suoi proprietari sono diventati soci del Partito Democratico?” si chiede Report. I giornalisti sostengono che già prima della creazione della nuova società Unità srl (diventata co-proprietaria del giornale insieme al Pd, che si muove nell’azionariato attraverso la fondazione Eyu) la Pessina Costruzioni aveva ricevuto favori e lavori tramite l’Eni, con un “super-testimone” che racconta “Matteo e Bonifazi parlavano di scambio politico” – dove “Matteo” dovrebbe essere Renzi e il “Bonifazi” Francesco Bonifazi, tesoriere del PD. Pessina avrebbe aperto una filiale in Kazakhistan, nella cittadina di Aksai, nel nord-ovest del paese: Aksai sarebbe insignificante se il centro abitativo non fosse cresciuto intorno a uno dei più grandi giacimenti di gas e petrolio, quello di Karachaganak, il cui sfruttamento è gestito dal consorzio Kpo, del quale Eni è socio principale insieme a Shell (la stessa joint venture nigeriana). La domanda (ambiziosa?) su cui ruota l’inchiesta è: c’è un nesso tra l’intervento di Pessina e Stefanelli nel salvataggio dell’Unità e il lavori in Kazakistan? Come mai l’Eni dice di non aver mai assegnato lavori alla Pessina KZ (la filiale kazaka della ditta italiana), ma alla Camera di commercio di Astana la ditta 2risulta dotata di un grande capitale, dipendenti e mezzi?” si chiede “Report”.

LA REAZIONE LIVE DI ENI

Già lunedì, dopo le anticipazioni pubblicate dal Fatto Quotidiano, l ’avvocato di Renzi aveva scritto a Report: “Nessuna contropartita consistita in un’assegnazione di un appalto in Kazakistan è stata mai oggetto di promessa o dazione”, sono notizie false, diffamatorie e calunniose, per le quali  saranno prese le “opportune iniziative giudiziarie contro chi si assumerà la responsabilità di avvalorala e diffonderla”. L’Eni ha seguito con attenzione l’intera puntata di lunedì e ha risposto in diretta a tutte le dichiarazioni e informazioni che considerava improprie. La ditta italiana ha seguito una strategia comunicativa unica, utilizzata già a dicembre del 2015 sempre per contrastare le accuse di un’inchiesta sempre di “Report” che aveva anche in quell’occasione come argomento gli appalti in Nigeria. Oltre a una lunghissima serie di tweet con cui l’account @Eni ha smentito ciò che riteneva giusto durante la proiezione dei servizi, su Facebook Marco Bardazzi (direttore Comunicazione), Marco Bollini (Direttore degli Affari Legali) e il suo predecessore Massimo Mantovani, hanno fornito la loro versione dei fatti mentre “Report” era ancora in onda, sostenendo che “i processi si fanno nelle aule di giustizia” e non in televisione.

I TWEET

eni report

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