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Tutti i perché delle mosse di Trump su Siria, Corea del Nord, e Afghanistan

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Che cosa sta succedendo dalle parti della Casa Bianca? L’effervescenza di questi ultimi giorni, con un improvviso attivismo militare e diplomatico su più fronti (Siria, Russia, Cina, Corea del Nord e, giusto ieri, Afghanistan), segnala secondo molti osservatori un repentino cambio di atteggiamento da parte dell’amministrazione Trump nei confronti di una serie di dossier internazionali. Una vera e propria svolta a 180 gradi rispetto alle iniziali posizioni nazionaliste e isolazioniste che sembravano annunciare un ripiego degli Usa e l’abbandono degli impegni globali che caratterizzano tradizionalmente l’agenda della superpotenza.

Nell’arco di una sola settimana, Trump ha lasciato tutti di stucco con una serie di decisioni inattese. La prima è arrivata sulla Siria. Rovesciando la posizione tenuta fino a quel momento, secondo la quale gli Usa accettavano realisticamente che Assad rimanesse al suo posto, l’America ha attaccato la base di Shayrat e ha cominciato a lanciare, per bocca di numerosi esponenti di governo, messaggi convergenti su un unico registro: Assad deve uscire di scena.

La nuova politica di Washington verso la Siria si scontra fatalmente con quella della Russia di Putin, alleato di ferro di Assad che ha sostenuto politicamente e militarmente. Anziché farsi intimidire da questo abbraccio, l’amministrazione Trump l’ha sfidato frontalmente, recapitando a Mosca attraverso il segretario di Stato Tillerson quel messaggio – il tempo di Assad è finito – incontrando così la dura opposizione del ministro degli esteri Lavrov e di Putin in persona. Il muro contro muro con Mosca rappresenta senz’altro un altro sviluppo sorprendente per un presidente che, in campagna elettorale, aveva sottolineato ripetutamente l’intenzione di ricucire i rapporti con la Russia.

La svolta cinese non è stata meno rocambolesca. In campagna elettorale, il tycoon aveva descritto con toni ben poco compiacenti la potenza rivale, definita una “manipolatrice di valuta” che ha “stuprato” l’economia statunitense con il suo spudorato dumping commerciale. Dopo essere stato eletto, inoltre, Trump, fece intuire di essere pronto ad abbandonare lo storico sentiero americano della “politica dell’unica Cina”. È bastato però l’incontro tra Trump e il presidente cinese Xi Jinping, vistisi la settimana scorsa nella “Casa Bianca invernale” di Mar-a-Lago in Florida, per veder mutare radicalmente la posizione del capo della Casa Bianca. “La Cina non è una manipolatrice di valuta”, ha dichiarato Trump alla vigilia del summit. Durante l’incontro, Trump ha parlato di un’ottima “chimica” tra lui e il leader cinese. E ha fatto capire di desiderare la cooperazione cinese sul fronte più incandescente che gli Usa si trovino ad affrontare in questo momento: quello della Corea del Nord e del suo programma nucleare e missilistico. Per enfatizzare che la Cina è chiamata a collaborare con gli Usa su questo fronte, e che in caso contrario gli Usa provvederanno da soli con un’azione unilaterale, Trump ha fatto trasferire nell’area un gruppo navale d’assalto completo di una portaerei a propulsione nucleare di classe Nimitz.

Ieri, infine, gli Stati Uniti hanno sganciato nella provincia afghana di Nangarhar, nei pressi del confine con il Pakistan, la “madre di tutte le bombe” MOAB, il più potente ordigno convenzionale in dotazione all’esercito americano, per colpire i tunnel in cui si muovono i miliziani dello Stato islamico. Un’altra mossa a sorpresa che segnala la determinazione americana a smuovere le acque di un conflitto entrato ormai nel suo sedicesimo anno e da cui negli ultimi tempi giungevano notizie inquietanti che odorano di sconfitta. Decidendo di ricorrere alla MOAB, gli Stati Uniti lanciano simultaneamente un messaggio a Siria e Corea del Nord: non stiamo scherzando.

Questi sono solo i principali segnali di fumo provenienti da Washington. Per completare il quadro, bisognerebbe aggiungere un’altra giravolta di Trump, questa volta sulla Nato. Definendola in campagna elettorale un’organizzazione “obsoleta”, il nuovo commander in chief aveva allarmato non poco l’Europa, costringendola a riavviare persino il dibattito sulla necessità di dotarsi di un proprio dispositivo di difesa comprensivo di armi nucleari. Ma l’altro ieri, Trump ha ricevuto con grande entusiasmo nello Studio Ovale il segretario generale Nato Stoltenberg, dichiarando ai reporter che la Nato “non è più obsoleta”. Un messaggio che rincuorerà le cancellerie del Vecchio Continente.

Questa sequenza di mosse sorprendenti segnala, come molti giornalisti hanno notato in questi giorni, un nuovo equilibrio all’interno del team Trump, con l’ala nazionalista e populista (quello dello slogan “America first”) incarnata dal potente consigliere e ideologo Steve “Darth Vader” Bannon in ritirata rispetto al fronte “globalista” rappresentato dal consigliere e genero di Trump, Jared Kushner, e dalla moglie di questi nonché “prima figlia d’America” Ivanka Trump. Oppure, ma le due cose non si escludono, si tratta semplicemente di un processo di maturazione di un leader che ora, saldamente insediato alla Casa Bianca, ha assunto una nuova prospettiva sul mondo, ben diversa da quella che caratterizzava un candidato inesperto in affari politici e internazionali.

Trump è cambiato, e il mondo farà bene a prendere nota.

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