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Fermi sulla soglia del quadro

Quante volte siamo rimasti fermi sulla soglia di un quadro a guardare stupiti l’immagine surreale del mondo che l’esperienza visibile ci rende stando completamente immersi in esso.
Noi viviamo e quasi non ci accorgiamo di farlo, camminiamo dentro al film della nostra vita che scorre a margine di un film ancora più grande che lo comprende e lo proietta in esso.
Ci sono stati secoli in cui il mondo veniva vissuto e meditato attraverso altri modi d’intendere la vita che non i modi in cui oggi vediamo scorrere il tempo che ci appartiene.
Sembra strano doverlo ammettere, ma in un lontano passato avevamo una maggiore consapevolezza della nostra esistenza, forse maggiore che nell’attuale vita vissuta con i mezzi della tecnica e del progresso che ci consentono di vedere l’esistenza stessa con un certo distacco.
Hans Belting ci concede una visione della nostra vita attraverso il suo “SPECCHIO del MONDO . L’invenzione del quadro nell’arte fiamminga, Carocci editore.
L’invenzione del quadro non è antichissima risale all’inizio del Quattrocento in Italia ed in Olanda e si può attribuire all’arte fiamminga. Anche l’ etimologia del nome ha a che fare con il termine fiammingo “ Schild” che sta ad indicare “Scudo” e il termine “Schilderei” che indica la “Pittura”, era l’arte di dipingere appunto gli scudi.
E pare che proprio Jan Van Eyck riprenda l’immagine degli scudi narrata da Plutarco che descrive nella Vita di Pericle come Fidia si dipinse con Pericle appunto nello scudo di Atena Parthenos ( E come Dione Crisostomo narri che questo ritratto sia stato nascosto).
Quadro e pittura non sono la stessa cosa come si può erroneamente pensare, perchè il quadro dipinto si può appendere alla parete, la pittura può essere praticata anche su carta o su altre superfici.
I quadri furono preceduti dalle miniature sulle pagine dei libri, che erano già delle piccole realtà a colori, ma niente di uguale al quadro contenente un ritratto dipinto e delimitato da una cornice: una realtà nella realtà.
Quadro e cornice diventano la metafora di uno spazio esterno ritagliato nella parete interna, una superficie piatta in cui viene ricreato uno spazio profondissimo ed esterno e interno a specchio dello stesso luogo concreto.
Dentro e fuori presenti nello stesso tempo, come in una stanza con la finestra aperta. Una dimensione parallela e virtuale verso cui affacciarsi da uno spazio fisico.
Il luogo dipinto coincide con lo spazio reale che evoca in tutti i particolari il concreto in tutti i contenuti come in uno specchio . Nel quadro de La Madonna del canonico Van der Paele, 1436. Bruges ( Groeningemuseum) si assiste proprio a questo fenomeno apparentemente semplice e suggestivo di uno spazio reale raffigurato come nella superficie di uno specchio, dove il canonico (che aveva commissionato l’opera) è presente nel dipinto, inginocchiato a sinistra del trono in cui siede la Vergine Maria ed è presente nel coro della chiesa dove opera e vive e la sua dedizione e, la sua preghiera si fa costantemente presente anche quando non è fisicamente presente in chiesa.
La devozione privata trova luogo nello spazio pubblico della chiesa sotto l’egida dell’istituzione ecclesiastica; alla transustaziazione di Gesù immagine terrena ed eucaristica corrisponde la duplice presenza del committente dell’opera nel quadro e nella realtà fisica. Il committente è ritratto mentre guarda nel vuoto mistico tenendo in mano gli occhiali e questo sta ad indicare che non gli servono gli occhi per vedere la scena che l’ osservatore può guardare solo nel quadro; egli la guarda con gli occhi della fede. Questa duplice visione viene resa dal quadro, una visione che riconduce alla natura umana: corpo e spirito.
Jan Van Eyck lavorava per un pubblico colto e per intenditori d’arte, egli possedeva un’idea precisa del mondo ed era questa “idea” che egli imprimeva nell’immagine pittorica con grande ingegno, tanto che Bartolomeo Facio lo descrive come “il principe dei pittori del nostro secolo’ e lo annovera nei suoi scritti lodandolo come un poeta, un letterato, un inventore, come chi possiede l’ Ars.
Nell’Economia aristotelica tradotta da Nicolas d’Oresme ‘ Art ‘ è il termine che designa colui che fabbrica l’arpa come strumento di colui che la suona.
Van Eyck è l’inventore di un’arte che ritrae le cose per descriverle minuziosamente, per ritrarle come sulla superficie dello specchio ed è inventore del quadro stesso delimitato da una cornice.
Van Eyck non ha solo l’abilità del pittore di ritrarre la realtà esterna come l’occhio la percepisce, ma possiede il talento di dipingere anche il sentimento più intimo che fa prendere vita alle cose rappresentate.
Ancora Bartolomeo Facio afferma che tutte le arti dovrebbero seguire “il metodo della pittura” che convalida l’equazione natura – immagine, copia – modello, corpo- spirito : “arte nello specchio dell’arte”.
L’unità dei dittici è data dall’unità del mondo che è rappresentata a sua volta dall’unità del quadro. “ L’anima abita in una stanza nascosta” , scriveva il mistico Enrico di Langestein ne “Lo specchio dell’anima”, e guarda fuori verso il mondo esterno “ dalle finestre di questa stanza” : gli occhi.
Questa meravigliosa avventura si staglia nell’idea del mondo di Van Eyck e intorno al 1430 egli cambia totalmente il volto dell’arte anche attraverso la sua vasta conoscenza della scienza ottica, introducendo il ritratto . Il ritratto in pittura non è più solo sacro e non più solo appannaggio dei nobili ed illustri cortigiani, ma si staglia lucidamente nel conflitto tra corte e borghesia. Il ritratto con i nomi e le date impresse sulla cornice diviene documento ufficiale, contratto, identità, memoria, memoria presente e perpetua, diritto ad essere ricordati perché la pittura trionfa sul tempo.
E’ a questo punto che si pone il problema della “lealtà”: un quadro è leale se fa fede alla somiglianza di colui che vi è ritratto, se fa un uso corretto del “ diritto all’immagine”.
Nasce quindi un’antropologia della rappresentazione come mai era accaduto. Il volto ritratto diviene lo specchio della natura umana che è fatta ad immagine di Dio. L’uomo è la testimonianza vivente e terrena dell’esistenza di Dio nel sovrannaturale e in pittura lo “sguardo” diventa “finestra dell’anima” e l’anima è “lo specchio di Dio”.
Il ritratto diventa documento giuridico pittorico in quanto non raffigurante solo il “corpo”, ma esso stesso un corpo in quanto “quadro”.
L’immagine ritratta assumeva quindi un rito di comparizione, garantiva l’esistenza della persona e la testimonianza storica del pittore che firmava la cornice e ne lasciava la traccia con una data del giorno in cui il ritratto era stato eseguito.
Tutto questo affascinante riflettersi di immagini e ritratti si rimandano nel volume di Carocci editore in un continuo peregrinare dal dentro al fuori, in un continuo affacciarsi fermandosi sulla cornice del quadro che racchiude lo spazio e la luce di una ricerca senza fine nella pittura così come nell’esistenza umana.

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