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Il Pd, la magistratura e i boomerang politici

Renzi

E anche la via giudiziaria al potere perì miseramente. Coloro che ritenevano di poterla utilizzare come furba scorciatoia, per approdare al governo dovranno sforzarsi per individuare vie alternative.

Lo scandalo “mafia capitale” che ha sconvolto la vita politica e amministrativa di Roma; l’affare Consip che allo stato sfiora, anche se informa dubitativa, il genitore dell’ex segretario del Pd Renzi; l’attività della magistratura napoletana che sta approfondendo alcuni fatti poco trasparenti verificatisi durante le primarie, le candidature comunali, i risultati congressuali del Partito democratico; una serie di inchieste che vede nella prima fase delle indagini coinvolti gli esponenti del M5S di Beppe Grillo a Roma, Palermo, Parma, Genova stanno evidenziando che selezionare le classi dirigenti dei partiti non è operazione che può essere svolta con baldanzosa superficialità o con fantasiosi metodi creativi o solo per vicinanze amicali.

Non serve agitare il vessillo di indagini giudiziarie individuali, di congrega, di partito degli avversari per guadagnare la fiducia e la stima degli elettori. Alla conquista del potere non si perviene tramite facili scorciatoie. Al governo ci si arriva per vie politiche, fatte di idee, di programmi, di comportamenti, etici e politici.

La teoria della via giudiziaria al potere, guarda caso, nata dopo l’approvazione della legge di amnistia 75/1990 che salvò il Partito Comunista dai finanziamenti illeciti dall’estero, ha fallito clamorosamente. Gli stessi apprendisti stregoni che misero a punto tale strategia hanno fatto marcia indietro, abiurando le antiche idee e constatando che si tratta di una strada senza sbocco. I due poli alternativamente si contrappongono: giustizialisti e garantisti riescono forse a legittimarsi proprio e solo attraverso le inchieste giudiziarie che li vedono coinvolti. È proprio impossibile trovare la via politica che li faccia riconoscere come veri partiti? Non è facile. È da circa cinque lustri che gli ex comunisti, molti di loro transitati nel Pd, immaginano che devolvendo potere alla magistratura è possibile dare la spallata definitiva e conquistare il potere tout court. Chi ha avuto l’onere e l’onore di far parte delle istituzioni locali o regionali avrà di certo ascoltato non una sola volta, ma più volte dalla bocca di qualche collega comunista, in presenza di dubbi, incertezze, perplessità su atti, delibere, decreti la famosa frase: “Mandiamo le carte alla procura della Repubblica”, consapevoli che nelle procure molti pubblici ministeri rappresentavano un solido anello di quella catena di trasmissione, funzionale alla conquista del potere.

Infatti, in diverse occasioni sono state abbattute intere maggioranze di governo avversarie, facendo uso di inchieste giudiziarie discutibili. Il Pd che protesta contro le indagini della magistratura, per aver aperto fascicoli nei suoi confronti desta meraviglia. Prima ha legittimato oltremodo quella fetta di magistrati organica e collaterale, assegnandole “ampie deleghe”, e adesso se ne lamenta. Non sopporta che magistrati indipendenti e autonomi si attivino nel controllo di legalità con inchieste che riguardano suoi esponenti. Il dato vero è l’assenza della politica. I partiti politici attuali se pensano che sia possibile imporsi, accusandosi reciprocamente di immoralità o illegalità non andranno molto lontano. O riscoprono la buona politica o per loro non ci sarà più spazio.

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