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Che cosa penso delle liberalizzazioni

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Sono proprio le famiglie che avrebbero un beneficio se si riuscisse a mettere in moto le banche, i trasporti, le poste, le professioni: aprire il mercato alla concorrenza potrebbe portare enormi benefici per l’occupazione e per i consumatori.

Pierluigi Bersani inaugurò una stagione che ha introdotto importanti novità come la portabilità del mutuo e la nascita delle parafarmacie, ma la storia si è fermata, malgrado le indicazioni fornite dall’Antitrust, e anche il disegno di legge, attualmente ancora in parlamento, è diventato, infatti, terra di conquista per le tante lobby che vogliono impedire il cambiamento.

Un esempio per tutti: gli interessi dei farmacisti e alcuni elementi di discussione sono prevalenti rispetto al libero mercato. Stare dalla parte dei cittadini significa capire che in circa la metà delle famiglie un membro rinuncia a comprare medicine perché è considerato un lusso e allora è necessario liberalizzare quei medicinali che i cittadini pagano da soli. Dunque il governo abbia coraggio: deve decidere che liberalizzare diventi un punto qualificante della sua azione politica e non sottostare ai veti delle lobby. E ad oggi non è così. Peggio di noi solo Grecia, Polonia e Romania.

Nell’ultimo quadro di valutazione dei trasporti dell’Unione europea, l’Italia, la trovi al quart’ultimo posto. Gli italiani passano nelle strade congestionate 38,73 ore all’anno, contro una media Ue di 30,96 ore. E il traffico, si sa, non fa bene all’ambiente. Colpa di un mercato poco libero e della consapevolezza che nelle città gli ostacoli sono ancora moltissimi, così come nelle ferrovie, soprattutto il servizio regionale, con le gare che stentano a partire, ma anche la difficoltà d’ingresso di nuovi operatori nella rete.

Fa eccezione l’alta velocità dove il numero dei passeggeri su rotaia è aumentato e si è ridotto il viaggio su gomma e sugli aerei. L’emergenza è però metropolitana. E si chiama smog. Un mix di inquinamento e condizioni atmosferiche che soffoca le nostre città, i nostri bambini, dunque, le famiglie in carne ed ossa. E anche in questo caso, un’accelerazione delle liberalizzazioni potrebbe portare benefici in un sistema integrato, per esempio, di trasporti economici semplici e sostenibili che disincentivano il ricorso all’auto privata e aiutano a vivere meglio con meno inquinamento e meno costi.

Dunque il metodo che funziona sta nel fatto che il pubblico si ritagli un ruolo nel fissare le norme generali, migliorare il servizio tutelando i lavoratori, controllarlo e garantire la copertura dei servizi meno remunerativi, lasciando che i diversi attori in campo – siano pubblici o privati – agiscano liberamente in quello spazio di regole e opportunità. Una scelta decisa potrebbe valere, secondo l’Osservatorio sulle liberalizzazioni, fino a 23 miliardi, e secondo il governo, un punto di pil all’anno (16 miliardi) fino al 2020, per una crescita complessiva del 4,16% dei consumi, del 3,7% degli investimenti, dell’1,66% dei salari reali.

Per l’Fmi, addirittura, le riforme sulla concorrenza porterebbero una crescita aggiuntiva del 13% (20% se si includesse anche il fisco). Non si tratta solo di liberare energie che già esistono ma di permettere che se ne creino di nuove. Il terziario in Italia, un mercato di circa mille miliardi che copre più del 74% del pil, è in passivo nella bilancia commerciale per 4,2 miliardi (mentre segna +23 per la Germania e +90 per il Regno Unito), anche perché deve combattere con rigidità, oligopoli, corporazioni, norme, regole e regolette.

Liberarsi da vincoli inutili, quando non dannosi, permetterebbe di concentrarsi sulla competizione internazionale dove si gioca la vera partita dell’economia 4.0. A parole sono tutti d’accordo sulla necessità di aumentare il livello di concorrenza nel nostro paese ma, nella pratica, bisogna superare insidie corporative dietro ogni angolo, procedendo passo dopo passo.

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