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Che cosa (non) fa il Csm sul caso Consip

Sia pure sul piano metaforico, pasticciando con due millenni di storia, Pilato è tornato a Roma dopo il fallimento della missione offertagli da eccezionali circostanze in Palestina. Dove, se avesse avuto coraggio, e non la rassegnazione o addirittura la voglia ostentata di lavarsene le mani, avrebbe potuto salvare la vita a Gesù, anche a costo di smentire le sacre scritture. Alle quali d’altronde lui non credeva. Era scritto un corno che Gesù dovesse fare quella fine, avrebbe detto un laico. Figuriamoci un pagano.
Una volta a Roma, con i tempi veloci garantiti un po’ dalla modernità e un po’ dalla natura, il fantasma di Pilato dove altro poteva rifugiarsi se non a due passi dalla Stazione ferroviaria Termini, in Piazza Indipendenza, e più in particolare nel cosiddetto Palazzo dei Marescialli, sede del Consiglio Superiore della Magistratura? Che per dettato costituzionale è presieduto dal capo dello Stato, ma nei fatti dal vice presidente obbligatoriamente scelto fra i membri cosiddetti laici, cioè non togati, eletti dal Parlamento: nel nostro caso dall’ex sottosegretario piddino Giovanni Legnini.
Si tratta di una persona degnissima, per carità, ed anche esperta per la sua lunga professione di avvocato, che ha alternato con l’attività politica prima nella sua terra d’Abruzzo e poi a livello nazionale. Ma di fronte all’affare giudiziario Consip, del quale il meno che si possa dire è “pasticciato”, Legnini ha mostrato forse un po’ troppa prudenza, non so se del tutto di testa sua o, magari inconsapevolmente, per l’influenza dei due altissimi magistrati che lo affiancano nel comitato di presidenza dell’organo di autogoverno delle toghe, e forse dello stesso presidente della Repubblica.
Immagino infatti che il vice presidente sia solito consultare preventivamente, e giustamente, il presidente quando il comitato di presidenza, appunto, deve affrontare questioni di particolare importanza o esposizione mediatica com’è sicuramente la vicenda della Consip e dei suoi appalti per gli acquisti della pubblica amministrazione. Su cui indagano due Procure della Repubblica, di Napoli e di Roma, distanti fisicamente circa duecento chilometri, ma forse dieci o cento volte tanto per l’impressione che hanno dato ai giornali, anche a quelli meglio disposti, più comprensivi verso la magistratura. Ne cito uno per tutti: naturalmente Il Fatto Quotidiano.

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Ebbene, il comitato di presidenza del Csm, acronimo del Consiglio Superiore della Magistratura, non ha ritenuto di dovere aprire una “pratica” d’indagine, proposta invece dal consigliere laico forzista Pierantonio Zanettin, sulla manipolazione di una intercettazione addebitata dalla Procura di Roma a un capitano dei Carabinieri operante presso la Procura di Napoli. Intercettazione dal cui “brogliaccio”, cioè sunto, i magistrati romani avevano ricavato elementi tali da accusare il padre di Matteo Renzi, Tiziano, di traffico di influenze illecite, prima di accorgersi della manipolazione, appunto, e di accusare l’ufficiale dell’Arma di falso ideologico e materiale.
Secondo il comitato di presidenza del Csm si tratta di una vicenda non di propria competenza perché non le risulta -sentite, sentite- alcun conflitto fra le due Procure. Solo in questo caso di conflitto il comitato avrebbe sentito l’obbligo di promuovere un accertamento.
In effetti, le due Procure negano di essere in conflitto, è vero. Evidentemente, come mi è già capitato di scrivere qui, lo sono a loro curiosissima, stravagante insaputa. E mi pare sconcertante che il comitato di presidenza del Csm non si sia posto nessun problema considerando il fatto, per esempio, che il capitano indagato a Roma faccia parte di un reparto dei Carabinieri -quello ecologico- che la locale Procura ha estromesso dall’inchiesta non fidandosi della sua tenuta stagno, chiamiamola così, nella difesa del segreto istruttorio. Ma lo stesso nucleo continua ad essere adoperato dalla Procura di Napoli, che gli ha insomma confermato fiducia.
Lo stesso capitano indagato a Roma avrebbe potuto continuare a svolgere atti istruttori come ufficiale di polizia giudiziaria a Napoli se non avesse deciso autonomamente, senza che i magistrati campani glielo chiedessero, di astenersene dopo l’incriminazione.
Va poi detto che questo benedetto capitano è in forza come Carabiniere a Roma, ma ha lavorato e potrebbe ancora lavorare, se rinunciasse all’astensione, in quel di Napoli.
La faccenda è risultata così strana anche al ministro della Giustizia Andrea Orlando da avere fatto chiedere formalmente dai suoi uffici alla Procura Generale di Napoli un rapporto sull’uso e sul funzionamento della polizia giudiziaria in quel distretto. Neppure questa circostanza, che non mi pare secondaria, per quanto esistessero, secondo il mio modesto avviso, elementi anche per disporre un’ispezione diretta del Ministero, ha indotto il comitato di presidenza del Csm a porsi e a porre una questione aprendo quanto meno un fascicolo, come chiesto appunto dal consigliere Zanettin, considerato evidentemente troppo curioso e intempestivo.

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In compenso, nel Palazzo dei Marescialli si sono posti il problema, che ha sicuramente la sua valenza, della compatibilità fra la tutela del segreto istruttorio e la dipendenza della polizia giudiziaria, nelle cui mani c’è gran parte se non tutto quel segreto, non solo dai magistrati con i quali collabora ma anche dai comandi militari da cui dipende. E cui deve riferire sul proprio lavoro in base ad una norma curiosamente introdotta l’anno scorso in occasione -chissà perché, poi- del passaggio della Guardia Forestale all’Arma dei Carabinieri.
È chiaro che una simile norma allarga e non stringe la rete di protezione del segreto istruttorio o d’ufficio. E andrebbe perciò abolita o modificata.
Ma la vicenda Consip non è più solo questione di segreti istruttori e d’ufficio violati, e su cui risultano tuttora indagati un ministro della Repubblica, il comandante generale dell’Arma dei Carabinieri e un altro generale della stessa arma. C’è anche o soprattutto, adesso, il problema di sapere e scoprire com’è potuto accadere che di una intercettazione abbia potuto contare più un brogliaccio sbagliato che un testo esatto di trascrizione integrale. Perché ciò che si è scoperto a Roma, confrontando l’uno con l’altro, e sentendo anche materialmente la registrazione, non si è scoperto prima a Napoli? Ci volete dare una risposta, signori inquirenti, di qualsiasi livello e località?
Non si può onestamente scambiare questa curiosità per interesse politico a fare da spalla, diciamo così, alle richieste di verità avanzate e appena ribadite, peraltro legittimamente, da Matteo Renzi sia in veste di politico, danneggiato dal cosiddetto processo mediatico sull’affare Consip, sia in veste di figlio di un indagato per effetto anche di quel brogliaccio.

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