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Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, l’Unità e l’egemonia culturale

travaglio

Per comprendere appieno il senso dell’espressione “egemonia culturale” non serve riandare a Gramsci, come auspicava qualche settimana fa un meditabondo Nannicini: basta leggersi la prima pagina dell’Unità.

A dispetto del nome del fondatore, che da quasi un secolo campeggia sulla testata, l’egemonia che traspare con evidenza non è quella del nuovo Principe, del partito come “avanguardia cosciente” del movimento proletario e della futura società socialista, ma quella grillina. Dove per “grillino” s’intende una postura culturale, oltre che politica, che in sé riassume lo Zeitgeist, lo spirito del tempo.

Potremmo parlare anche di travaglismo, giustizialismo, nichilismo giudiziario: ma sarebbe una visione parziale. La cifra, invece, è proprio quella impressa dal comico “illuminato” (ipse dixit) e dall’altro fondatore, il guru neomalthusiano e gnostico Gianroberto Casaleggio, al movimento che si appresta, dopo aver ricevuto negli ultimi mesi una serie di benedizioni in alto loco a far sue le prossime elezioni.

Perché titolare a tutta pagina, come fa l’Unità, che “la democrazia è prescritta” non significa solo attribuire alla prescrizione il valore di una scampata condanna, cosa che non è, ma ignorare del tutto i fondamenti dello stato di diritto: significa anche, il che è peggio, considerare disponibili (e magari revocabili) i diritti dell’individuo se questi è un nemico politico. In un’epoca in cui è il caso a fare la norma – e non solo in politica – c’è chi aspira a fondare su questa massima la legittimazione del potere: l’arbitrio non conosce più vergogna e pretende per sè il nome di legge. Come avviene, per l’appunto, nel Movimento 5Stelle ogni qual volta l’esito delle “clickarie” è sgradito al Garante – Sovrano.

Che certe cose le scriva Travaglio – che infatti puntualmente le ha scritte nel suo editoriale sul Fatto Quotidiano – non fa notizia. Che le scriva l’Unità, il foglio di una sinistra che, seppur a corrente alternata, si proclama “riformista” e “liberale”, fa cadere le braccia. E conferma, purtroppo, l’assunto di partenza: Grillo ha già vinto perché ha vinto la battaglia per la conquista dei cuori e delle menti, visto che pure i suoi principali avversari sono arrivati al punto di sposarne gli argomenti. Magari senza accorgersene: il dramma è questo.

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