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Tutte le nuove sfide del rapporto uomo-ambiente

Ambiente

“L’ecologia può essere considerata la scienza delle relazioni (della casa): la condizione necessaria dell’abitare è l’apertura all’altro, la sua custodia, il riconoscimento di un’alterità che chiede di costruire” (Luca Valera, L’ecologia umana. Le sfide etiche del rapporto uomo/ambiente, Aracne editore, 2013). Oggi sentiamo tutti che la nostra “casa” è stata violata, la relazione con la natura violentata e il territorio defraudato. Tutti, ma proprio tutti, precetti etici e regole sono state violate: i principi di precauzione, di prevenzione e “chi inquina paga”, che la comunità internazionale ha introdotto con la Convenzione di Rio de Janeiro del 1992 sulla tutela della biodiversità; la politica ambientale comunitaria, che già dall’Atto unico europeo del 1986 ha impegnato gli Stati membri ad attuare meccanismi di controllo a preservazione degli habitat naturali; il Codice ambientale del 2006, che ha orientato definitivamente il sistema produttivo nazionale verso scelte sostenibili sotto il profilo ecologico.

Tuttavia, l’attuale fase di stasi e riconversione del sistema produttivo nazionale è un’occasione unica per il nostro territorio. L’occasione di ridare dignità alle singole persone “umane” (tutti noi) danneggiate da condotte che non hanno considerato che l’ecosistema ha un valore inestimabile, anzi ogni suo “frammento” ha un valore inestimabile, un valore “esistenziale” più che “biologico”, che intacca la nostra cultura e la nostra storia e si collega alla liberta di agire senza essere danneggiati a “casa” nostra. D’altronde, spiega sempre Valera, “la libertà dell’uomo è quanto di più ecologico ci sia: è essenziale per il mantenimento del cosmo”, e il nostro cosmo è innanzitutto il luogo dove viviamo, ci nutriamo e i nostri figli giocano.

Due sono i ruoli delle politiche pubbliche che ora con determinazione dovrebbero emergere. Potrebbero sintetizzarsi nelle locuzioni: “custodire” e “costruire”. Il “custodire” è indirizzare l’azione pubblica, senza ambiguità, alla preservazione della nostra “casa”. Non è con imposizioni sanzionatorie e cogenti che si preservano le (preziose) risorse naturali (il fallimento di questa impostazione è sotto gli occhi di tutti). È invece necessaria la consapevolezza che l’adozione di misure di gestione razionale delle risorse naturali e la conversione del sistema produttivo verso scelte tecnologiche di minore impatto per l’ambiente e la salute dei cittadini, oltre a conseguire uno sviluppo sostenibile delle attività imprenditoriali, aumenta la stessa capacità concorrenziale della nostra economia. Mancata sostenibilità si integra con mancata crescita (economica e non).

Il costruire è il sostenere quei comparti fulcro del nostro tessuto socio-economico, come quello agroalimentare. È necessario un nuovo paradigma di politica di settore, che consenta di fronteggiare questa determinante sfida. Le imprese necessitano di un serio apporto delle istituzioni, che dovrebbe inquadrarsi in una logica di competizione regionale, interregionale e globale, divenire maggiormente selettivo e qualificato e fondarsi su una articolazione di strumenti che guardi ad una dimensione quantomeno “mediterranea” se non planetaria degli scambi, in cui il valore aggiunto della nostra terra può ancora giocare una partita vincente.

Un precedente è incoraggiante. Lo scandalo del vino al metanolo, ormai di molti anni fa e che probabilmente in pochi ricordano, causato da un numero esiguo di produttori, fu l’occasione per la riconversione dell’intero settore vitinicolo verso quella scelta di qualità (oggi) indiscussa e legame con le tradizioni e la biodiversità che lo ha portato ad essere vittorioso. L‘attuale nostra sconfitta per “colpa” di pochi potrebbe essere il preludio per la vittoria dei molti (innocenti) che meritano una “casa” in cui anche le future generazioni possano intessere liberamente e proficuamente le proprie relazioni. Ci auguriamo (e confidiamo) che, ad esempio, oggi con il rilancio dell’Ilva si vada nella stessa direzione.

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