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Vi spiego cosa nasconde il Def

Pier Carlo Padoan

Secondo il DEF approvato ieri dal Consiglio dei ministri (manca però il testo definitivo) il tasso di crescita del Pil previsto per il 2017 è pari al +1,1%, per scendere al +1% nel 2018 e 2019.

E’ stato detto che non ci saranno tagli di spesa, lasciando intendere che la strategia di speding review potrebbe frenare, perché questi “avrebbero effetti depressivi sull’economia”, un’osservazione la cui lettura si colloca nell’ambito del puro pensiero keynesiano. E’ stato anche detto che non ci saranno aumenti di tasse. Eppure, il rapporto deficit/Pil è previsto in netta riduzione, dal +2,1% di quest’anno allo 0% nel 2020.

E’ un po’ difficile, almeno a livello contabile, giustificare un tale quadro macroeconomico. Siccome non è matematicamente possibile che il rapporto deficit/PIL si azzeri se il Pil ristagna e se non c’è nessun taglio di spesa e nessun aumento di entrate, vuol dire che qualcosa non quadra.

La spiegazione a questo puzzle è semplicemente quella di assumere con certezza che nella prossima Legge di bilancio per il 2018 scatteranno le clausole di salvaguardia da 20 miliardi di euro, relative all’aumento delle aliquote IVA. A quel punto sì, le stime sulla riduzione del deficit tornano ad essere giustificate.

Se ci fosse questo aumento, tuttavia, non si sarebbero considerati gli effetti negativi dovuti al crollo dei consumi che si verificherà quando l’aliquota intermedia passerà dal 10% al 13% e quella ordinaria dal 22% al 25% e che ridurrebbe ulteriormente il tasso di crescita del Pil ben al di sotto dell’1% indicato. 

Emanuele Canegrati, Ph.D.

 
Fellow, Liechtenstein Academy Foundation
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