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Il gruppo da battaglia della Vinson finora non è andato in Corea del Nord

La portaerei nucleare americana “USS Vinson” e il suo gruppo da battaglia non stavano andando verso la Corea del Nord. Lo Strike Group “Gold Eagle”, partito da Singapore, si stava dirigendo verso le coste dell’Australia, in direzione diametralmente opposta. Là ha preso parte a un’esercitazione congiunta con la marina australiana, notizia confermata dalla US Navy martedì, con tanto di foto del vascello localizzato sullo stretto della Sonda, tra l’Indonesia e Giava, il 15 aprile – il 15 aprile era il giorno in cui il mondo guardava nervosamente quello che stava succedendo a Pyongyang, con la paura che il regime testasse per festeggiare la satrapia un’altra atomica e gli Stati Uniti rispondessero alla provocazione con le armi, magari anche quelle della Vinson.

LA GRANDE ARMATA DELL’AMMINISTRAZIONE

La rotta della portaerei non è dunque un semplice dettaglio tecnico, ma diventa una nota politica di estremo interesse. La notizia, innanzitutto, smentisce tre giri di informazioni diffuse dall’amministrazione americana. Domenica 9 aprile il comandante del Pacific Command del Pentagono, l’ammiraglio Harry Harris, aveva pubblicamente confermato un’indiscrezione delle Reuters uscita il giorno prima: le navi si stavano spostando. Il giorno seguente, il segretario alla Difesa James Mattis aveva confermato che il gruppo da battaglia era diretto a settentrione, verso la Corea del Nord, e che l’esercitazione con l’Australia era stata momentaneamente rimandata. Più tardi, durante il briefing stampa giornaliero, era stato il portavoce della Casa Bianca Sean Spicer a confermare lo spostamento. Tutto ricalcato con muscolarità durante un’intervista del presidente Donald Trump con Maria Bartiromo di Fox News, nella quale il commander in chief diceva “stiamo inviando un’armata, molto potente” contro il Nord. Il Washington Post si è già occupato di raccogliere tutte queste dichiarazioni, con relativi link.

LA ROTTA ATTUALE

Il primo a dire che non sapeva niente della posizione del Gruppo da battaglia è stato il capo della diplomazia Rex Tillerson, durante una conferenza stampa a Mosca, il 12 aprile. Quello che si scopre adesso è che le navi nei giorni successivi agli annunci avevano sì lasciato il porto di Singapore, dove si trovano nell’ambito delle operazioni di monitoraggio dell’area da parte della Terza Flotta (“come fanno da 70 anni”, spiega la didascalia nel sito ufficiale della marina americana), ma non si erano allontanate dalla acque dell’isola. Ora si trovano nell’Oceano Indiano, dalla parte opposta delle Corea del Nord. I primi a scoprire quello che stava succedendo sono stati i giornalisti di Defense News, mettendo insieme i pezzi in un articolo dal titolo perfetto: “Non c’è niente da vedere qui”, diceva, riprendendo il poliziotto che nei film minimizza con i curiosi un fatto di nera. Un portavoce della flotta del Pacifico, il comandante Clayton Doss, ha poi confermato la situazione al Washington Post: la nave ha partecipato con l’Australia a un’esercitazione già programmata nelle acque australiane nordoccidentali, e in questi giorni sta salendo verso la penisola coreana; ma si trova ancora a circa 3500 miglia nautiche. Secondo le informazioni del Korea Herald l’arrivo nelle acque territoriali della Corea del Sud – dove in questi giorni era in visita il vice presidente Mike Pence – è previsto per il 25 aprile (l’agenzia Yonhap dice tra il 25 e il 28). Il 25 è un’altra data critica, perché Pyongyang potrebbe festeggiare l’anniversario delle proprie forze armate con un test missilistico o atomico.

CHE COSA È SUCCESSO?

Dalle ricostruzioni di alcuni media americani (per esempio quella del New York Times), si capisce che il motivo per cui c’è stata fatta questa confusione è da ricercare nelle difficoltà di comunicazione tra le varie branche della Difesa. Nel caso la Marina e il Dipartimento centrale. Harris non aveva specificato i giorni in cui la nave sarebbe salita verso nord, Mattis aveva equivocato la cancellazione di una sosta in Australia con la cancellazione dell’intera esercitazione, la Casa Bianca s’è affidata alla informazioni del Pentagono. Tutto è avvenuto in un momento piuttosto delicato, con le tensioni tra Washington e Pyongyang che crescevano, portandosi dietro il coinvolgimento di Pechino (e di tutte le questioni sui rapporti Usa-Cina di cui la Corea del Nord è solo la punta di un iceberg). Ma potrebbe esserci anche dell’altro. Cai Jian, un esperto del Centro per gli studi coreani alla Fudan University di Shanghai, ha detto al Washington Post che l’intero episodio è stato parte di un gioco elaborato dagli Stati Uniti, un’azione di “guerra psicologica” contro la Corea del Nord: “Al culmine della situazione di stallo, la guerra psicologica è molto importante” ha spiegato.

L’IMPORTANZA, ANCHE SIMBOLICA, DELLA VINSON

L’invio della Vinson è considerato un fattore determinante, un messaggio risoluto ed esplicito con cui gli Stati Uniti cercano di imporre deterrenza nei confronti di Kim Jong-un. Per questo, e sulla scorta delle dichiarazioni ufficiali, gli articoli e le analisi di tutti i media del mondo imprescindibilmente sono finora passati anche da questo schieramento per spiegare la postura aggressiva presa da Washington nei confronti di Pyongyang. La nave si porta dietro anche un simbolismo perfetto per la narrazione: dal suo ponte furono consegnate al mare le spoglie di Osama Bin Laden, dopo che i Navy Seals del Team Six rientrarono dalla killing mission di Abbotabad – ora lo stesso reparto che ha eliminato il nemico numero uno dell’America è stato inviato in Corea del Sud, e questo dovrebbe essere un messaggio nel messaggio per il regime, un’altra PSYOPS.

(Foto: US Navy, la USS Vinson sullo stretto della Sonda)

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