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Orban e la guerra di Bruxelles contro l’Ungheria

Mercoledì 26 aprile il Primo Ministro ungherese Viktor Orbán ha risposto al Parlamento Europeo riguardo alle accuse che la Commissione ha presentato martedì nei confronti dell’Ungheria. Sotto accusa, tre iniziative promosse negli ultimi mesi dal governo ungherese: la campagna “Stop Bruxelles”, la legge sulla trasparenza delle Organizzazione Non-Governative (ONG) e, soprattutto, la riforma dell’istruzione universitaria.

Secondo l’Unione, i provvedimenti andrebbero a ledere i diritti sanciti dall’Articolo 2 del Trattato di Lisbona e, in particolare quelli all’uguaglianza, al pluralismo e della democrazia.

Stop Bruxelles. Negli ultimi mesi il governo guidato da Viktor Orbán ha lanciato una campagna nazionale – che si concluderà il 20 maggio – dal nome “Fermiamo Bruxelles” che accusa l’UE di mettere in pericolo l’indipendenza dell’Ungheria. L’iniziativa, considerata dalla Commissione Europea “scorretta dal punto di vista dei fatti” e “altamente fuorviante”, ha visto il governo recapitare 8 milioni di questionari a risposta chiusa ai cittadini ungheresi. Ogni modulo contiene sei domande su “politiche chiave dell’Unione”.

Per capire il tenore della campagna, una di queste chiede “cosa dovrebbe fare l’Ungheria” quando “nonostante la serie di attacchi terroristici in Europa, Bruxelles intende forzare il paese a far entrare immigrati illegali”, una categoria che comprende, fra gli altri, i richiedenti asilo. Due le risposte possibili, ovvero permettere agli immigrati di muoversi liberamente per il paese o “tenerli sotto la supervisione delle autorità” – nei campi recintanti che il governo ha costruito – fino a quando il loro caso non venga giudicato.

No ONG. Sotto accusa da parte del Parlamento è finita anche la legge – approvata dal governo ungherese a gennaio- sulla “trasparenza delle organizzazione finanziate dall’estero”, approvata dal governo a marzo. Il provvedimento obbliga qualunque ONG che riceva fondi da paesi esteri, qualora anche dall’Unione Europea, ad applicare l’etichetta “organizzazione civile finanziata dall’estero” su ogni sua pubblicazione. La norma è stata fortemente criticata da varie ONG, fra cui Amnesty International, in quanto creerebbe, a scopi propagandastici e nazionalistici, una discriminazione fra ONG “estere” ed “autoctone”.

La riforma universitaria. Simili le critiche rivolte alla riforma del sistema universitario e che colpisce, dice l’opposizione, soltanto un’Università: la Central European University (CEU), l’istituto privato fondato da George Soros negli anni ottanta, che propone corsi di laurea sullo stampo di quelli statunitensi. Secondo l’indice di rating QS, la CEU sarebbe nel 2017 al 42° posto al mondo per gli studi politici, sopra, per esempio, ad istituzioni molto più note quali, l’Università di Bologna, Brown University e Duke University. Il Times High Education Index,o THE, la colloca, sempre per il 2017 al 91° posto al mondo per gli studi sociali. La nuova norma impone che la CEU, la cui sede legale è negli Stati Uniti, apra, entro il 2018, una sede nel paese di origine, oltre ad uniformare i propri corsi e statuti a quelli delle università ungheresi. Secondo Gianni Pittella, leader dei Socialisti Europei, la norma “andrebbe a silenziare una delle istituzioni più forti per la libertà di pensiero nel paese”. Il giorno dopo l’approvazione della norma, 70.000 persone sono scese in piazza a Budapest per chiederne l’abrogazione.

I rifugiati. Gli eventi degli ultimi mesi non sono casi sporadici. Le tensioni fra Budapest e Bruxelles sono, infatti, deflagrate già nel 2014, all’apice della crisi europea dei rifugiati. Viktor Orbán è, infatti, un diretto oppositore della politica di accoglienza dei rifugiati – proveniente, dice il primo ministro, da un “diktat tedesco” – che egli porta avanti nel nome della difesa “delle origini cristiano-giudaiche dell’Europa”, minacciate “dall’afflusso di immigrati mediorientali”. Allo scopo di bloccare l’afflusso dei migranti, Orbán ha avallato la nascita del corpo dei “border hunters” (cacciatori frontalieri), la costruzione di barriere di filo spinato al confine con la Serbia, e di speciali campi di “detenzione” recintati. In questi, denunciano le associazioni umanitarie, sono stati internati anche bambini, la cui detenzione è proibita dalle leggi internazionali. Per Orbán, queste norme servirebbero a “proteggere non solo l’Ungheria, ma l’intera Unione Europea“, ma il risultato è che stanno di fatto bloccando il processo di ricollocazione dei rifugiati – e quindi la collaborazione fra i 27 paesi membri – a danno soprattutto di Grecia e Italia.

La difesa di Orbán. A Bruxelles, Viktor Orbán ha difeso la propria azione politica affermando come l’Ungheria stia solamente cercando di “correggere gli errori [della UE]” nei riguardi dell’accoglienza degli immigrati e di limitare la forza “delle multinazionali estere” che “minacciano l’indipendenza dell’Ungheria”. Per il Primo Ministro, infatti, Bruxelles – sotto pressione del “nemico” George Soros, fondatore della CEU e finanziatore di varie ONG liberali in Europa orientale – intende “minacciare le norme messe in atto dal governo” che, sottolinea Orbán – “serviranno ad aumentare l’occupazione”, affermazione contestata dalla Commissione Europea, che ha presentato i dati di come proprio l’Unione – grazie ai Fondi Strutturali Europei – sia la principale responsabile della creazione di oltre 150.000 nuovi posti di lavoro in Ungheria.

Le sanzione europee. A fronte del discorso di Orbán, il vice-presidente della Commissione Europea, Frans Timmermans, ha ribadito l’idea di portare il caso fino alla Corte Europea di Giustizia. “La società civile” dice Timmermans “è il fondamento delle società democratiche”, per questo non è possibile avallare “alcun provvedimento del governo ungherese” che miri a diminuire il ruolo di organizzazioni o istituzioni libere all’interno di un paese membro.

Conclusosi il dibattito, l’Ungheria avrà un mese di tempo per rispondere in maniera concreta agli appunti mossi dal Parlamento Europeo. Qualora non ci fossero cambiamenti, la Commissione Europea è pronta a portare il paese di fronte all’Alta Corte di Giustizia europea. Qui, Budapest rischia l’applicazione dell’Articolo 7 del Trattato di Lisbona, il quale sospende il diritto di voto e di rappresentanza di un paese membro all’interno del Consiglio d’Europa, qualora questo abbia violato i valori  fondanti dell’Unione. Se ciò dovesse succedere, sarebbe il primo caso di applicazione dell’articolo dalla ratifica stessa del trattato.

Oltre al processo della Commissione europea, il Partito Fidesz -di cui Viktor Orbán è il leader – rischia anche l’esclusione dal Partito Popolare Europeo (PPE).

La guerra al liberalismo e ai principi europei. Quanto successo fra mercoledì a Bruxelles, è solo l’ennesimo atto dello scontro politico esistente fra l’Unione Europea e Viktor Orbán. Il Primo Ministro ungherese non ha mai nascosto la sua avversione ai principi delle democrazie liberali europee e, quindi, dei valori fondamentali dell’Unione che ne conseguono. Per Orbán, tali democrazie non sarebbero “competitive nell’attuale scenario globale”. La conferma arriva, continua il politico ungherese – dal “successo” di stati quali Cina, Russia e Turchia, “nessuno dei quali può considerarsi liberale o una democrazia”. Unica risposta alla competizione globale sarebbe quindi, il fondare una “democrazia illiberale”, la cui attuazione, sostiene Orbán, non “sarebbe preclusa dall’adesione dell’Ungheria all’Unione Europea”. L’affermazione è, ovviamente, contestata dai rappresentanti dell’Unione Europea.

La conversione dell’Ungheria all’”illiberalismo” è cominciata nel 2013, con l’approvazione da parte del Parlamento di Budapest della riforma costituzionale promossa dallo stesso Orbán. La nuova legge fondamentale ha ridotto le competenze della Corte Costituzionale ed allentato il controllo del potere giudiziario su quello esecutivo. Inoltre è andata a limitare la libertà di espressione qualora questa vada a ledere “la dignità dell’Ungheria”. Come riportato allora dal settimanale tedesco Der Spiegel, la riforma è andata a sancire la nascita di un sistema politico “autoritario”, in modo non diverso da quanto successo in Turchia con la riforma costituzionale approvata il 16 aprile. Non a caso Orbán è stato l’unico leader europeo ad essersi congratulato con il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan dopo la vittoria del “sì” al referendum.

“In questi giorni, dobbiamo coraggiosamente affermare […] che abbiamo bisogno di una democrazia che non sia necessariamente liberale.”

Viktor Orban

Perché ora? Molti dei 22 procedimenti attivi contro l’Ungheria sono stati avviati già da molti anni, perché quindi solo ora la Commissione Europea si è mossa in maniera così decisa? La scusa è la probabile chiusura della CEU. Mentre questo permette a Orbán di accusare l’Unione di “agire in nome di George Soros”, l’emergenza consente a Bruxelles di accelerare il processo ed aggredire la “questione ungherese” prima che questa scappi di mano.

Due sono i punti principali per l’Unione. Il primo è spingere l’Ungheria a rispettare le quote di ospitalità dei rifugiati. Il secondo è ribadire il principio che non si possa usufruire dei finanziamenti provenienti dall’UE senza accettarne i principi fondamentali. Il messaggio è diretto ai principali alleati di Viktor Orbán, ovvero gli altri membri del Gruppo di Visengrad, ovvero Repubblica Ceca, Slovacchia e, Polonia, paesi euroscettici le cui economie, come quella ungherese, sono fortemente dipendenti dall’Europa.

Nel mirino c’è soprattutto Varsavia, il cui governo ha dichiarato di voler applicare la stessa normativa anti-immigrazione dell’Ungheria, oltre ad essere considerato come uno dei principali ostacoli del processo di integrazione europea.

In un momento in cui l’Europa affronta le trattative sulla Brexit ed è in prima linea contro i movimenti populisti, la “democrazia illiberale” ungherese di Viktor Orbán non può, quindi, essere più tollerata, soprattutto in vista delle elezioni che si terranno nel paese nel 2018.

 

Pubblicato in origine dall’autore su: il Caffè e l’Opinione

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