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Tutti gli errori dei soci Alitalia. L’analisi di Dragoni (Il Sole 24 Ore)

Gianni Dragoni Alitalia

Un prestito di 600 milioni senza un vero e credibile piano industriale rischia di trasformarsi nell’ennesimo finanziamento a fondo perduto a favore di Alitalia“. Parola di Gianni Dragoni, giornalista del Sole 24 Ore che da anni si occupa anche dell’ex compagnia di bandiera: ha anche scritto il libro “Capitani coraggiosi. I venti cavalieri che hanno privatizzato l’Alitalia e affondato il Paese” (edito da Chiarelettere). Una crisi senza fine che in queste settimane – dopo i giorni delle trattative del 2008 e del 2014 – sta vivendo una nuova fase di gravissima turbolenza.

Dragoni, non è scontato che si ponga mano a un nuovo piano industriale? O no? 

Scontato non direi proprio, anche se sarebbe stato necessario. Penso, semmai, che le scelte fatte finora non rispondano a questa logica. Anche i tre nuovi commissari (qui una gallery loro dedicata) assomigliano più che altro a dei notai chiamati a certificare il tracollo della compagnia e a cercare – se possibile, ma non è detto – di venderla. O, meglio, di svenderla.

Sta dicendo che il governo ha fatto male a concedere il prestito ponte?

Non è questo il punto. E’ stato di fatto obbligato in tal senso, per evitare che gli aerei rimanessero a terra e i lavoratori senza stipendio. Però sarebbe stato opportuno prevedere anche l’incarico preciso di adottare un piano industriale serio, in grado di minimizzare i costi per la collettività e di dare una prospettiva di futuro alla compagnia. Senza dimenticare la possibilità che la Commissione europea contesti l’operazione come un aiuto di Stato.

Mi pare piuttosto scettico sui tre nuovi commissari. Perché?

Innanzitutto perché nessuno dei tre ha competenze manageriali specifiche nel settore del trasporto aereo. E non è poco. E poi perché il loro mandato mi sembra piuttosto ridotto. Tradotto: potrebbero non avere mani libere come invece sarebbe opportuno per tentare di salvare Alitalia.

Perché dalle stime iniziali di 300 massimo 400 milioni di euro si è passati a un prestito di 600?

La realtà è che quella cifra era stata ancora una volta sottostimata rispetto ai veri fabbisogni dell’Alitalia: fino a pochi giorni fa, in sostanza, non si diceva la verità, e cioè che Alitalia avesse bisogno di più risorse (qui l’articolo con la versione del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, ndr).

Si tratta, comunque, di un prestito. Lo Stato riavrà i suoi soldi indietro. Oppure no?

Esatto, è un prestito sul quale Alitalia dovrebbe anche pagare gli interessi. Ma non è detto che l’ammontare venga recuperato, come già accaduto peraltro nel 2008 dopo il no alla trattativa con Air France e prima dell’arrivo dei cosiddetti capitani coraggiosi.

Questi soldi per quanto tempo manterranno in vita Alitalia? E cosa accadrà dopo a suo avviso? 

Da quanto si dice dovrebbero bastare fino a ottobre. Dunque, o nel frattempo si trova una qualche soluzione oppure dopo l’estate ci sarà bisogno di una nuova iniezione di risorse. Che non è da escludere siano ancora pubbliche.

Altri soldi dello Stato in Alitalia oltre ai 600 milioni del prestito ponte?

Non sto dicendo che accadrà di certo, ma che si tratta di uno scenario possibile. D’altronde, a ottobre è assai probabile che saremo in vista della campagna elettorale per le politiche. Una fase che – come insegna la storia anche di Alitalia – non è certo la migliore possibile per portare avanti trattative e adottare scelte concrete e di buonsenso. Se a quel punto la questione non sarà stata risolta, pronostico un nuovo prestito che rimandi la questione al governo che nel frattempo sarà nato.

Ma quale soluzione è possibile trovare a stretto giro?

L’intenzione almeno annunciata è di trovare uno o più compratori, preferibilmente – dicono i commissari – che operino nel trasporto aereo. Bisognerà però vedere se esistono e che cosa eventualmente propongono.

Lufthansa rimane una strada percorribile?

Una possibilità in questo senso credo che esista: i tedeschi, infatti, avevano manifestato un certo interesse per la compagnia, nonostante la smentita degli ultimi giorni. Nei loro colloqui con l’ex presidente Luca Cordero di Montezemolo e con altri dirigenti avevano anche posto una precisione condizione: la riduzione dei costi. Poi – con il no al referendum – la situazione, com’è sotto gli occhi di tutti, si è complicata parecchio.

Ma vista l’attuale condizione di Alitalia, Lufthansa potrebbe essere ancora interessata o no?

Per come si sono messe le cose, penso possa essere interessata a formulare un’offerta molto al ribasso oppure solo per una parte dell’ex compagnia di bandiera italiana.

La vendita di Alitalia “a pezzi” è uno scenario possibile?

Quanto sia probabile non lo so, ma certo non si può escludere. Ci potrebbero essere compagnie interessate ad acquistare a prezzi più bassi gli aerei che compongono la flotta Alitalia. Oppure la volontà di rilevare solo rami d’azienda che includano anche gli slot ad esempio a Linate,e in altri primari aeroporti italiani e stranieri.

Ma perché Alitalia costa così tanto rispetto alle altre compagnie e al suo volume d’affari?

La voce più pesante – al contrario di quanto spesso si afferma – non è rappresentata dal lavoro, bensì dalla manutenzione – che costa davvero uno sproposito -, dai contratti di leasing e dai fornitori.

Il piano di Cramer Ball però puntava a ridurre i costi del lavoro di circa 160 milioni.

E infatti non stava in piedi. Alitalia si prevede che anche nel 2017 perda 650 milioni di euro. Se anche avessero ridotto il costo del lavoro di quella cifra, sarebbe rimasta una perdita di 500 milioni l’anno.

Ma allora qual è il problema di fondo di Alitalia?

L’errore principale è stato commesso da Colannino e da Cai e poi perpetrato da Etihad e dai suoi manager. Tutti hanno continuato a volersi concentrare sul medio e breve raggio, pur trattandosi di tratte in forte perdita per via della concorrenza, non sempre leale, delle compagnie low cost.

Perché non hanno sviluppato il lungo raggio?

Penso innanzitutto per una questione di mezzi: il lungo raggio richiede aerei diversi, il cui costo si aggira tra i 200 e i 300 milioni di dollari. E poi anche perché sono mancati visione e investimenti in tal senso. Basti pensare che negli anni della gestione Etihad sono stati aggiunti in leasing solo due nuovi aerei per il lungo raggio, mentre i concorrenti ne hanno aggiunti a decine. E il gap, inevitabilmente, è aumentato. Non a caso avevano previsto di raggiungere l’utile nel 2017 mentre in realtà accumuleranno una perdita di almeno 650 milioni.

Ma è vero che Etihad, tutto sommato, non abbia perso così tanto con l’operazione Alitalia nonostante i risultati dicano il contrario?

Non so se abbia recuperato i 560 milioni di euro che aveva investito ma in qualche modo ha avuto delle compensazioni. Ad esempio, ha imposto ad Alitalia un incremento dei voli tra alcuni aeroporti italiani ed Abu Dhabi per aumentare il suo raffico. E poi ha comprato alcuni slot a Heatrow che Alitalia utilizza dietro il pagamento di un affitto ma che rimangono di proprietà della compagnia emiratina. Ma hanno anche acquistato la maggioranza del programma mille miglia o venduto ad Alitalia corsi di formazione per il suo personale che si sono svolti ad Abu Dhabi.

In conclusione, Matteo Renzi ha promesso una proposta del Pd entro il 15 maggio. Di cosa potrebbe trattarsi?

Ha già avuto modo di occuparsi di questa vicenda in passato, non so davvero cosa possa inventarsi ora. Ricordiamoci che Renzi ha appoggiato l’ingresso di Etihad e che ha addirittura voluto un nuovo aereo di Stato – un Airbus 340 – preso in affitto proprio da Etihad e non da Alitalia. Ma, per la verità, anche il governo precedente guidato da Enrico Letta aveva spinto perché il matrimonio con la compagnia di Abu Dhabi si facesse.

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