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Perché Macron non potrà non essere equilibrista

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Come era nelle attese della vigilia, Emmanuel Macron ha battuto Marine Le Pen al ballottaggio ed è il nuovo presidente della Repubblica Francese.

Davanti a questa notizia come è logico, anche se non è mai troppo elegante farlo, tutti si sono buttati sul carro del vincitore, sebbene non tutti siano riusciti a salire e alcuni siano perfino stati sbattuti giù. È quest’ultimo il caso di Manuel Valls, dichiarato da Jean-Paul Delevoye, ex gollista e organizzatore del partito del neo presidente, “un riciclato attaccato alla poltrona”, e pertanto giustamente incompatibile con un possibile incarico ministeriale. Da par suo, il partito socialista ha avviato la pratica per la rapida espulsione del ex primo ministro.

Molto bene, direi.

Obiettività vuole, ad ogni buon conto, che si sia attendisti sempre, specialmente in politica, e si aspetti Macron alla prova dei fatti. Verso il vincente leader di “Repubblique en-marche” è giusto” insomma, oggi più che mai, non nutrire troppo entusiasmo e covare in silenzio qualche speranza.

La prima osservazione, emergente anche dalla logica d’emancipazione con cui egli sta formando il governo, è che la vittoria contro la destra sia quella di un progetto capitanato da un “europeista smart”, fedele a se stesso, che si esibisce come una figura sofisticata e colta, fuori dagli schemi classici dei partiti, volendo portare un soffio di freschezza nell’antiquato e alquanto sconsolato e sconsolante novero internazionale dei politici continentali.

Certamente egli non si metterà ad inseguire adesso il populismo, dopo aver battuto con coerenza e lungimiranza il radicalismo identitario, e non avendo ceduto mai, durante l’intera campagna elettorale, alla tentazione della condiscendenza antipolitica.

La motivazione per cui egli ha vinto, soprattutto a svantaggio dei socialisti, è stata infatti la capacità di dare discontinuità di metodo, promettendo però eterogeneità di programma rispetto al conservatorismo scialbo-progressista di una politica giudicata in tutta Europa vera ragione dei nostri mali.

Ogni tentativo, leggibile su alcuni giornali, di definirlo nei limiti della continuità è perciò più una speranza di chi ha perso che una veridica analisi della realtà di chi ha vinto.

Macron è giovane, è all’inizio della carriera e del mandato: scommetterà quindi sulla sopravvivenza nel tempo, finalità incompatibile con il grigiore bigio della nomenclatura.

Ciò nonostante, ovviamente, il suo No all’anti Europa sicuramente resterà intransigente, seppure unito, auspicabilmente, ad una politica di contenimento del pangermanismo merkeliano, e ad un tanto plausibile quanto desiderato rilancio del progetto dell’Unione.

I problemi enormi che hanno pompato aria sulle vele del Front national sono già tutti sul tavolo di lavoro dell’Eliseo. Riuscire a risolverli, avendo il potere per farlo, è la grande scommessa, una sorta di bagliore nel buio. In Francia, infatti, la destra è forte e resterà tale, prima e dopo la sbornia populista. Ma il No macroniano alla revanche reazionaria si accompagnerà soprattutto ad un No più sottile e costruttivo all’Europa fantasma, quella che genera terrore solo a sentirla nominare, come tutte le sagome potenti e mitologiche che minacciano con arcana e inaccessibile immobilità il futuro dei cittadini e dei popoli.

Ascoltando e riflettendo su questa linea possibile, mi è tornato in mente Aldo Moro, con il suo fascinoso argomentare sibillino. Lo statista pugliese così definiva il suo atteggiamento verso il sinistrismo, il 16 settembre del 1964 al IX congresso della Dc: “Il nostro anticomunismo è l’anticomunismo di una forza democratica e popolare, che dissente profondamente dal Partito Comunista; ma il nostro anticomunismo non ha nulla a che vedere con l’anticomunismo della destra fascista. È il no di un partito democratico e popolare che dice Sì alla libertà”.

Ora, ferme restando le ovvie differenze storiche, Macron si troverà proprio a dover dimostrare in modo moroteo – il che non vuol dire imitandone il proverbiale mite atteggiamento – l’identico opposto: far vedere che la sua distanza dalla destra non è un Sì a questa Europa dei fallimenti nazionali, ma un Sì ad un Europa diversa, più democratica, più popolare, più ricca e, soprattutto, molto più liberale di quella odierna.

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