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La differenza fra Italia e India spiegata dalla Cassazione

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Voleva girare per strada armato di un coltello lungo e affilato. Non perché avesse cattive intenzioni, ma perché questo gli imponeva la sua religione. Invece l’indiano sikh dovrà fare a meno del “kirpan”, come si chiama tale sacro pugnale. La Corte di Cassazione, oltre ad aver respinto il suo ricorso, confermando la condanna a una multa di duemila euro che aveva subìto per quella lama di venti centimetri portata in pubblico, ha stabilito un principio elementare di valenza generale, riaffermato per la prima volta in modo molto chiaro: in Italia non si può fare quel che si fa in India. “Non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppur leciti secondo le leggi vigenti nei Paesi di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”.

Dunque, sulla sicurezza non c’è precetto che tenga e gli immigrati che hanno scelto di vivere nella società occidentale – ha detto la Corte – devono conformarsi ai nostri valori. Naturalmente, nessun divieto per il libero esercizio di ogni credo, per la possibilità di coltivare i propri costumi o di seguire le tradizioni d’origine. Porte aperte. L’integrazione del mondo multi-etnico nel nostro Paese non passa dall’abbandono della cultura da cui si proviene né dalla riduzione del pluralismo ma – ammoniscono i giudici – “ha un limite invalicabile: il rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica” della nazione ospitante. La difesa delle nostre radici.

Già il Consiglio di Stato aveva messo fuorilegge il kirpan, perché negli ultimi dieci anni altri casi simili erano stati sollevati soprattutto nel Veneto e in Emilia. Ma, come succede spesso, sulla controversia la politica aveva spaccato il capello in quattro all’insegna dello scontro ideologico fra i due soliti fronti: quello che denuncia il buonismo imperante sul tema dei migranti e quello che, all’opposto, accusa il dilagare della xenofobia. La Cassazione pone un punto fermo nella polemica che in queste ore puntualmente riaffiora, indicando nell’obbligo di rispettare le leggi e i valori del Paese accogliente l’unica bussola valida per tutti. “Decisione equilibrata, ma la politica non strumentalizzi”, chiede la Cei, a proposito di una sentenza pragmatica, che distingue il diritto alla fede dal dovere della sicurezza, il turbante dal kirpan, la libertà di preghiera sempre garantita dall’uscire di casa con un coltello alla Sandokan.

(Articolo pubblicato da L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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