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Cosa succederà al lavoro nell’era dei robot. Parla Robert Skidelsky

robert skidelsky

Il progresso tecnologico sta facendo scomparire i posti di lavoro? Questa domanda apparentemente dal sapore ottocentesco negli ultimi mesi sta riguadagnando terreno fra gli economisti di tutto il mondo. La “robotizzazione” del lavoro in molti Paesi è già una realtà e il mondo accademico si divide fra previsioni catastrofiche ed entusiasmi di chi nella tecnologia riesce a scorgere una nuova golden age dell’occupazione. Robert Skidelsky, nella foto, tra gli economisti più stimati e pluripremiato biografo di John Maynard Keynes, ha dato una sua chiave di interpretazione durante una lectio all’Università Luiss.

Fin dagli inizi del 1800, quando il movimento dei luddisti si dedicava a distruggere i nuovi macchinari nelle fabbriche, l’uomo ha temuto di vedersi sottratto il lavoro dal progresso tecnologico. Ma la sostituzione del lavoro manifatturiero con le macchine non è mai stata rapida come oggi. Uno studio del 2013 di Carl Frey e Micheal Osborne, due professori di Oxford, ha rivelato che il 47% del lavoro negli Stati Uniti è messo a rischio dalla computerizzazione. La conferma arriva dal sito della Robotic Industries Association, secondo cui solo nel primo semestre del 2016 le aziende americane hanno acquistato 14583 robot per un totale di 817 milioni di dollari. Un’emergenza a cui dovrà fare fronte l’amministrazione di Donald Trump, che nel discorso inaugurale a gennaio ha promesso di ridare un’occupazione ai milioni di “lavoratori dimenticati”. Per l’Europa le previsioni non sono più rosee: la società di revisione e consulenza Pwc ha previsto che entro il 2030 in Germania il 35%, nel Regno Unito il 30% dei lavori saranno sostituiti da sistemi automatici. I primi a pagarne le conseguenze sono i lavoratori meno qualificati, con un titolo di studio liceale o inferiore. Per riequilibrare i danni provocati dalla robotizzazione nel maggio del 2016 l’europarlamentare Mady Delvaux aveva persino proposto al Parlamento europeo una tassa sui robot, un’idea che ha ricevuto niente di meno che l’endorsement di un premio Nobel, Robert Shiller, e di un certo Bill Gates.

Insomma, la disoccupazione dovuta all’high-tech è ormai un fatto, non la previsione orwelliana di un futuro distopico. “Il problema di tutte queste previsioni è che presumono che la tecnologia determinerà il nostro futuro” ammonisce Skidelsky. L’economista inglese fa appello al suo Keynes quando ricorda i vantaggi che l’uomo ha tratto dal progresso delle macchine, come la riduzione delle ore di lavoro settimanali. È pur vero che il tempo libero che si è creato all’interno della settimana non si è trasformato in ozio, ma in “disoccupazione tecnologica”: “se lavoro in un’azienda di fast food e una macchina prende il mio posto di lavoro, non sto scegliendo di avere del tempo libero, semplicemente vengo reso inutile”.

Gli economisti si dividono in due scuole di pensiero su come cambierà il mondo del lavoro con la sostituzione tecnologica: una più ottimista, secondo cui le macchine renderanno i posti di lavoro più interessanti e meno sfiancanti dal punto di vista fisico. Una visione pessimistica sostiene che i macchinari impiegati nelle aziende distruggano il lavoro umano duplicandolo alla metà dei costi. Queste persone ritengono che la politica debba intervenire con un sussidio di disoccupazione per rimediare all’ozio forzato dei lavoratori dovuto all’investimento tecnologico.

Per Skidelsky, di sicuro c’è solo che la responsabilità di proteggere l’occupazione rimarrà in mano alla politica: non soltanto dovrà formare le persone alle nuove tipologie di lavoro che il progresso tecnologico schiuderà, ma dovrà anche “interferire sulla velocità di applicazione dei sistemi robotici”, specificando in sede legislativa “una quantità minima di lavoro umano che debba mantenersi in ogni processo di automatizzazione”.

Ad oggi la robotizzazione ha preso piede specialmente nei settori della sanità, del terziario e dell’alimentazione. Quest’ultimo è il caso di moltissimi ristoranti McDonald’s: sempre più spesso i clienti si vedono accolti dai chioschi automatici “Crea il tuo gusto”, che permettono loro di crearsi da soli l’hamburger senza interagire con altri esseri umani. Presto l’automatizzazione riguarderà decine di altri settori, dalle automobili a guida automatica fino ai droni e all’insegnamento e bisognerà farsi trovare preparati, perché in ballo ci sarà l’occupazione di un numero infinitamente più grande di lavoratori.

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