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Caro Prodi, senza obiettivi comuni l’unità sindacale è solo un feticcio

sarkozy

Che cosa sarebbe avvenuto in Italia negli ultimi anni se l”unità sindacale fosse stata sempre, dovunque e da chiunque osservata come un articolo di fede? Vediamo. La Fiat avrebbe traslocato all’estero, chiudendo i suoi stabilimenti e lasciando qualche decina di migliaia di lavoratori sul lastrico. Oggi invece assume e si fa largo su nuovi mercati, cosa impensabile se non ci fosse stato qualcuno nel panorama sindacale – segnatamente i metalmeccanici di Cisl e Uil disposto a rompere con la logica del “tanto peggio, tanto meglio” propugnata dalla Fiom e, soprattutto, disposto a  firmare con l’ “odiato” Sergio Marchionne gli accordi che hanno posto le basi del rilancio di quella che oggi è Fca.

Che cosa sarebbe stato poi della contrattazione aziendale, che oggi tutti – anche la Cgil – considerano uno strumento indispensabile a stimolare la produttività e quindi la crescita, se Cisl e Uil non avessero firmato, da sole, l’accordo sulla contrattazione del 2009? Davvero c’è qualcuno che pensa che oggi staremmo qui a parlare di “Patto della Fabbrica” se allora non si fosse consumato lo strappo con la Cgil? Queste domande (ce ne sarebbero altre ) riflettono la meraviglia, per non dire lo sconcerto, di chi, leggendo l’intervista rilasciata da Romano Prodi al Corriere della Sera, vede di nuovo affacciarsi nel Pantheon ideale della nostra classe dirigente il feticcio dell’unità sindacale.

L’unità non rappresenta un valore in sé, ma lo diviene quando si lavora insieme, partendo da diverse sensibilità, mediando e trovando un equilibrato compromesso, come hanno fatto, superando le divisioni del passato, i Metalmeccanici di Fim, Fiom, Uilm sul contratto nazionale. Ma per farlo, come ha scritto  il Segretario generale dei metalmeccanici Cisl Marco Bentivogli, su “il Foglio” bisogna de-ideologgizzare il dibattito sul lavoro. Il referendum sui voucher, ma anche il continuo dibattito sull’articolo18, raccontano invece un’altra storia: quella di una campagna elettorale permanente, dove il terreno di scontro preferito è quello del lavoro.

Quanto all’analisi prodiana del populismo, ci permettiamo di sottolineare che collegare l’avanzata delle forze che, pur da fronti diversi, contestano, anzi negano, il sistema, alle crescenti disuguaglianze causate dalla globalizzazione e dall’innovazione tecnologica, appare un po’ troppo corrivo alla moda ideologica del momento. Vero, le disuguaglianze ci sono, ma non dappertutto in Europa crescono al ritmo col quale crescono in Italia. Il caso della Germania, che ha saputo riformare economia e mercato del lavoro quando ciò era indispensabile, sopportando a tal fine il peso di alcuni sacrifici, dimostra che crescita e protezione sociale possono convivere e rafforzarsi reciprocamente, anche senza immaginare una nuova stagione dello “Stato Provvidenza”, quale Prodi, tra le righe, sembra invece auspicare.

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