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Chi ha ucciso Andrea Rocchelli in Ucraina? I misteri a 3 anni dalla morte

Di Luigi De Biase

Aveva trent’anni Andrea Rocchelli (nella foto) quando è stato ucciso sulla strada piatta che porta a Slovyansk, una città nelle campagne dell’Ucraina orientale. Per la sua vita parlano le foto scattate negli anni di lavoro con il collettivo Cesura: guerriglia in bianco e nero fra i palazzi di Kiev, umanità nascosta nelle cantine di vecchi palazzi in rovina, donne in posa dentro appartamenti russi. Sulla sua fine resta, invece, ancora molto da scrivere.

Andrea è morto il 24 maggio del 2014 assieme al collega russo Andrei Mironov, che di anni ne aveva sessanta. Avevano deciso insieme di raggiungere il fronte di una guerra che nessuno aveva dichiarato, ma che bruciava già da settimane lungo il confine fra l’Ucraina e la Russia. Quindici giorni prima, due milioni di persone avevano votato a Donetsk e Lugansk il referendum sull’indipendenza di una regione che di abitanti allora ne contava otto milioni e adesso è ridotta a macerie. A quel punto il Donetsk era già nelle mani di paramilitari che avevano occupato il palazzo del governo: uomini male armati, mal vestiti, finanziati da oligarchi che difendevano interessi legati anche alla Russia. Da Kiev, il premier provvisorio Turchynov aveva risposto con una enorme operazione “antiterrorismo”. In tutte le strade del Donbass già si parlava di una nuova guerra “contro il fascismo”, eppure a Donetsk i ristoranti erano aperti, le ragazze con le gonne corte cenavano nei ristoranti georgiani, e un buon numero di cittadini stranieri alloggiava senza tormento allo Shakhtar, l’hotel elegante costruito davanti allo stadio del calcio.

Si combatteva attorno alla linea ferroviaria che divedeva in due un paese già separato dalla lingua e dalla storia: Adviivka e Gorlivka, qualche decina di chilometri sopra Donetsk; Kostantinivka, a ovest; e poi Slovyansk e Kramatorsk. Una guerra povera, senza divise e distintivi, senza comandi generali e senza ordini precisi, costata la vita, però, a migliaia di civili. Rocchelli e Mironov viaggiavano con il fotografo francese William Roguelon quando la loro auto è stata colpita da un tiro di mortaio. Roguelon è sopravvissuto miracolosamente e oggi sarà a Roma, in Senato, accanto ai genitori di Andrea, per testimoniare quanto avvenuto quel giorno. Nessuna delle forze allora sul terreno ha mai ammesso alcuna responsabilità. Ma quel che è certo è che l’esercito ucraino era appostato con l’artiglieria a poca distanza, su una collina chiamata Karachun, e che poteva controllare da quel punto la strada sulla quale avanzavano Rocchelli e Mironov. Altre due persone erano sullo stesso taxi: l’autista e un quinto uomo basso, biondo e tozzo che rimane senza nome, anche se il suo volto è impresso nelle ultime foto scattate proprio da Rocchelli. Contro quel gruppo di reporter l’esercito ucraino avrebbe sparato qualcosa come sessanta colpi di mortaio in venti minuti.

Occorre dire che le indagini condotte sinora dalle autorità di Kiev somigliano a un depistaggio. In un recente incontro con la stampa, l’ambasciatore a Roma, Evgeny Perelygin, ha persino negato che truppe ucraine fossero sul posto al momento degli scontri. A quanto sembra, fra i documenti raccolti in tre anni di indagini non c’è neppure il risultato di un esame banale come quello della balistica. In Italia la procura di Pavia si sta muovendo in questi giorni con una nuova azione per ottenere il materiale necessario a chiudere l’inchiesta. Il procuratore Reposo e il sostituto Zanoncelli avrebbero individuato quindici punti che il governo di Kiev deve chiarire: testimoni da ascoltare, perizie da eseguire, dettagli sinora ignorati. Ma questa svolta investigativa, ottenuta con l’ausilio del Ros di Milano, deve essere seguita da pressioni parallele del ministero degli Esteri. Il 27 giugno, il ministro degli Esteri ucraino, Pavlo Klimkin, sarà a Roma in visita ufficiale. Due anni fa, durante un’intervista al TG5, Klimkin avanzò l’idea di incontrare la famiglia Rocchelli. La sua occasione sembra arrivata: sarebbe l’occasione di mostrare concretamente il sostegno che l’Ucraina deve in ogni caso a una vittima di guerra, ma soprattutto il segno della volontà di collaborare senza finzioni alle indagini sull’uccisione di Andrea e di Andrei.

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