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Perché non ho votato a favore della cosiddetta web tax. Parla Boccadutri (Pd)

Sergio Boccadutri

Primo messaggio: parlare di web tax è fuorviante “perché non si tratta effettivamente di una tassa“. Secondo messaggio: “E’ difficile pensare che l’emendamento alla manovrina approvato in commissione Bilancio della Camera possa generare un guadagno significativo per le casse dello Stato“. Firmato Sergio Boccadutri, il deputato Pd che, durante il voto in commissione, ha deciso di astenersi e di non schierarsi a favore della modifica alla misura voluta in particolare dal suo collega di partito Francesco Boccia per cercare di ottenere qualche risorsa in più dai giganti mondiali del web e della tecnologia.

UNA QUESTIONE ANNOSA

Il tema – ormai tra i più dibattuti in tutto l’occidente – coinvolge colossi quali Apple, Amazon, Facebook e altri, i quali riescono a pagare imposte molto basse in Italia e non solo grazie al fatto di aver stabilito la loro sede legale in Stati assai generosi dal punto di vista fiscale come l’Irlanda o l’Olanda. “Ma non è su questo che interviene l’emendamento“, ha precisato subito Boccadutri, per il quale non potrà esserci soluzione efficace senza che sia condivisa a livello internazionale: “Sono convinto che in assenza di un accordo tra tutti i Paesi interessati non riusciremo a regolamentare questo fenomeno: anch’io penso si debba intervenire ma farlo solo a livello nazionale – per di più con una norma poco chiara e scarsamente efficace – è del tutto inutile“.

IL FOCUS DEL G7 ENERGIA

Non è un caso, d’altronde, che della questione si sia lungamente parlato un paio di settimane fa a Bari nel corso del G7 Finanze, a cui hanno preso parte i ministri dell’Economia dei Paesi del G7. Un focus fortemente voluto dal titolare del Tesoro Pier Carlo Padoan  per il quale la web tax rappresenta “una proposta che sta prendendo corpo“, “per trovare la convergenza” reale e necessaria tra le diverse idee formulate dai vari Stati. Nel frattempo però – in attesa che succede qualcosa sul piano internazionale – il ministero dell’Economia e delle Finanze ha incassato l’emendamento di Boccia dal quale conta di riuscire a recuperare un po’ di risorse. “Ma saranno molto poche, praticamente residuali“, ha commentato ancora Boccadutri prima di entrare nel merito del provvedimento e del perché in commissione abbia deciso di astenersi al pari della Lega e del MoVimento 5 Stelle ma anche di Scelta Civica, che – come noto – sostiene il governo Gentiloni.

I DUBBI DI BOCCADUTRI

Le sue perplessità si concentrano, innanzitutto, sulla natura della norma: “Non è una tassa, come erroneamente qualcuno sta affermando. E’ una procedura di collaborazione rafforzata in virtù della quale le imprese con un fatturato globale superiore al miliardo di euro e con un giro d’affari in Italia pari almeno a 50 milioni possono cooperare con l’Agenzia delle Entrate, farle un interpello e accordarsi su quanto versare. In cambio di uno sconto sulle eventuali sanzioni che potrebbero essergli inflitte in futuro“. Una sorta di scambio dunque, e non una vera e propria imposta. Ma c’è di più, perché evidentemente i dubbi di Boccadutri non si limitano a un aspetto per così dire terminologico.

LE AZIENDE ESCLUSE

L’elemento più critico – ha osservato ancora il deputato Pd – attiene alle aziende che, ai sensi del comma 11 dell’emendamento appena approvato dalla commissione Bilancio risulterebbero escluse dalla possibilità di accordarsi preventivamente con l’Agenzia delle Entrate. “La norma non lo consente a tutte le imprese verso le quali sia già in corso un accertamento o un controllo di qualsiasi tipo da parte del fisco italiano“, ha spiegato Boccadutri. Che poi ha aggiunto: “Il problema è che molte di queste aziende sono già sottoposte a procedure di questo tipo. In pochissime, quindi, potranno aderire all’iniziativa, con la conseguenza di ridurre al lumicino le risorse di cui lo Stato potrebbe beneficiare attraverso questi questi accordi“. Il rischio, pertanto, è quello di una norma “con zero effetti, nonostante i suoi fautori si affannino ad affermare che si potranno guadagnare anche centinaia di milioni“.

LA NORMA E L’ORGANIZZAZIONE D’IMPRESA

Una norma concettualmente sbagliata” secondo Boccadutri anche per un altra ragione: la mancata considerazione della “natura dinamica dell’organizzazione d’impresa“. In tal senso la disposizione prevede che le aziende non possano accedere a questa procedura negoziata pure nel caso in cui l’accertamento in corso nei loro confronti si riguardi quanto da loro fatto in passato e non l’anno fiscale in corso. “E’ sbagliato: se il controllo si riferisce al 2009 o, non lo so, al 2013 – per fare un esempio – non ha alcun senso impedire che le imprese partecipino a questa forma di collaborazione con l’Agenzia delle Entrate. Dobbiamo sempre considerare che si tratta di soggetti giuridici in continua evoluzione: il Parlamento, nel momento in cui vara una norma che li riguarda, non può non tenerne conto“.

IL CONTESTO POLITICO

E’ una bandierina fatta apposta perché qualcuno possa appenderci un spilletta e dire di aver fatto la web tax“, commenta Boccadutri. Ma a chi si riferisce? Al presidente della commissione Bilancio Boccia, da sempre grande sostenitore di questo tipo di interventi e braccio destro di Michele Emiliano nel corso delle ultime primarie del Pd? “A lui ma non solo: parlare di web tax non è corretto perché il provvedimento non è un tassa e non riguarda il web“. Da questo punto di vista è da ricordare come lo stesso Boccia nel 2013 tentò sul serio di introdurre un’autentica web tax, salvo poi essere stoppato da Matteo Renzi appena divenuto, per la prima volta, segretario dem. L’ex presidente del Consiglio non si è ancora pronunciato sull’emendamento votato in commissione, ma in passato era apparso piuttosto tiepido – se non direttamente contrario – alla possibilità di prevedere una tassazione specifica per i colossi di Internet e della tecnologia. Da ultimo nel corso del confronto tv organizzato da Sky Tg24 prima delle primarie dello scorso 30 aprile.

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