Skip to main content

DISPONIBILI GLI ULTIMI NUMERI DELLE NOSTRE RIVISTE.

Da De Gasperi all’IA: come si scrive la storia. Lezioni di futuro
L’Europa (in)difesa. Tutte le mosse di Bruxelles

Cosa sono i Pir? Info, numeri, commenti e interrogativi

Se ne parla da quando sono stati annunciati come una grande innovazione finanziaria e soprattutto come di uno strumento per fare crescere l’economia reale in maniera massiccia. Ma qualcuno, oggi, paventa il rischio bolla e le critiche in generale non sono mancate.

Perché piacciono tanto i PIR

Ma partiamo dall’inizio. Cosa sono i Pir, i piani individuali di risparmio? Sono di fatto OICR (fondi comuni di investimento) che devono contenere al loro interno titoli, azioni o bond di società italiane o con stabile organizzazione in Italia per il 70% del portafoglio. E il 30% di questa quota (il 21% del totale) deve essere composto da società che non sono quotate sul Ftse/Mib, per evitare che poi siano sempre le stesse solite note a poter godere del supporto di cui invece necessitano soprattutto le altre. Ovvero l’esercito di oltre 4 milioni e mezzo di PMI che costituiscono l’ossatura dell’industria italiana.

Su quali aziende investiranno?

Le società quotate su tutti gli indici di Piazza Affari, quindi includendo anche mid cap, Star e AIM sono circa 380. Ed è vero che i Pir consentono di spaziare in quell’universo di 4 milioni e mezzo di realtà italiane ma è altrettanto vero che poi le SGR, che fisicamente costruiscono il prodotto, difficilmente andranno a pescare da quel mare magnum e più realisticamente punteranno su quelle società più conosciute per cui esistono analisti condotte dagli stessi broker.
Alla fine cioè il campo sarà ristretto, nella migliore delle ipotesi a Piazza Affari, che capitalizza l’1% sul mondo, una briciola e, secondo Kpmg, vale il 35% del Pil italiano, contro il 51% della Germania, il 66% della Spagna e l’86% della Francia. Cioè non rappresenta il tessuto economico sottostante da nessun punto di vista: né da quello dei volumi, né da quello settoriale, con le banche che occupano il 30% del Ftse/Mib.

Boom di raccolta e stime triplicate

Intanto sui Pir si è riversato un boom di domanda da parte degli investitori: le stime del governo erano inizialmente di una raccolta di 18 miliardi in 5 anni, quelle degli analisti puntavano a quota 68 miliardi, ma entrambe sono in rialzo.
Gli analisti di Equita Sim hanno alzato la stima della raccolta 2017 da 1,6 miliardi a 10 miliardi ritenendo che il “successo dei Pir si sta dimostrando ampiamente superiore alle attese”. Un’affermazione simile a quella del capo della segreteria tecnica del ministero dell’Economia, Fabrizio Pagani, secondo il quale le ultime stime ipotizzano una “raccolta attraverso i Pir di circa 10 miliardi l’anno, che è un valore al di là di ogni aspettativa: questo si dovrebbe ripetere di anno in anno, perche’ chi inizia l’investimento poi lo continua”.
A supportare queste previsioni così ottimistiche ci sono i risultati di Banca Mediolanum ed Eurizon Capitale del gruppo Intesa Sanpaolo. In particolare Banca Mediolanum ha raccolto in cinque mesi sul suo Pir 700 milioni di euro e prevede entro la fine dell’anno di arrivare a tre miliardi. Eurizon, invece, ha portato a casa 800 milioni di euro (ma non ha fornito stime).

E se fosse una bolla?

Il problema ora sarà trovare un luogo dove riversare questa liquidità inattesa – che è un successo, finché non si trasforma in una bolla.
La ragione poi di questa raccolta monstre è tutt’altro che misteriosa: lo strumento offre a chi investe un’esenzione fiscale totale, su 30mila euro annui per cinque anni. Quindi chi investe in Pir non paga le tasse sul reddito per cinque anni e per 150mila euro, a patto di detenere in portafoglio il PIR per tutto il periodo.
Qualcuno, tra gli analisti che guardano al fenomeno, ha iniziato allora a parlare di bolla. “Il modo più semplice per evidenziare l’impatto che i PIR hanno avuto sul mercato è attraverso l`ETF che replica l`indice Ftse Mid Caps (ITAMID). Preso come punto di partenza il 15 dicembre 2016, emerge che la market cap di ITAMID è salita da circa 55 milioni agli attuali 622 milioni e ITAMID ha sovraperformato l`ETF mid-small cap Europe (DJSC IM) del 12%”, spiega un broker.
Numeri che non collimano con la crescita dell’economia italiana, né su quella della produzione italiana, tutt’altro.

×

Iscriviti alla newsletter

LE NOSTRE RIVISTE

formiche AirPress decode39 healthcarepolicy

SEGUICI SUI SOCIAL