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Vi racconto il patto scellerato fra Ue e Turchia di Erdogan. Parla Dündar

Di Francesca Nava

La prima volta che ho incontrato a Istanbul Can Dündar era il primo novembre del 2015, durante la notte elettorale. La seconda in pochi mesi. Ricordo che per entrare nella redazione del quotidiano che lui dirigeva – Cumhuryiet, il principale giornale di opposizione della Turchia – occorreva superare due posti di blocco e un metal detector. L’intera redazione infatti, secondo alcune informazioni raccolte dal governo turco, era stata minacciata dall’Isis a causa della pubblicazione della famosa copertina di Charlie Hebdo, quella raffigurante Maometto che dice “tutto è perdonato”. Quella sera Dundar era torvo in viso. Mentre mi parlava non staccava lo sguardo dal monitor del televisore che trasmetteva lo spoglio in diretta. Il partito del presidente Recep Tayyip Erdogan (l’AKP, il partito per la Giustizia e lo Sviluppo) stava riconquistando la maggioranza assoluta in Parlamento, dopo lo scivolone della precedente tornata elettorale di giugno, nella quale aveva fallito l’obiettivo mandando il Paese a elezioni anticipate.

Tutto questo non lasciava presagire nulla di buono. Su Dundar infatti pendeva una richiesta di ergastolo per spionaggio e divulgazione di segreto di Stato, in seguito alla pubblicazione nel maggio del 2015 di uno scoop mondiale che provava il passaggio di armi attraverso il confine turco-siriano su tir scortati dai servizi segreti turchi (Mit). Una rivelazione, questa, che aveva scatenato l’ira di Erdogan in persona. Poche settimane dopo quell’incontro a Istanbul, infatti, Can Dündar è stato arrestato e portato nel carcere di Silivri, una vera e propria cittadella di reclusione per oppositori politici. Dietro le sbarre ci è rimasto tre mesi, di cui quaranta giorni in isolamento. Al processo di primo grado Dundar, dopo aver scampato un tentato omicidio da parte di un fanatico che lo aspettava fuori dal Tribunale, è stato condannato a cinque anni e dieci mesi di prigione. Dopo il fallito golpe del 15 luglio scorso Dundar ha deciso di dimettersi dalla direzione del giornale perché “lo stato di emergenza mi impedirebbe di avere diritto a un giusto processo”. La vicenda che lo ha visto protagonista ha mobilitato enti e associazioni in tutto il mondo, garantendogli numerosi riconoscimenti internazionali. Da luglio vive in esilio in Germania. Il giorno dopo il referendum costituzionale del 16 aprile scorso l’ho intervistato nuovamente.

Come si sente dopo questo risultato?

Se devo essere sincero è andata molto meglio di quello che mi aspettassi. La campagna elettorale è stata terribilmente sbilanciata a favore del sì. Siamo tornati come ai tempi di Goebbels, quando si faceva il lavaggio del cervello. Undici deputati di uno dei principali partiti di opposizione sono in carcere (l’Hdp, il partito filo curdo), insieme ad altri 150 giornalisti. E nonostante questa repressione la metà del Paese ha resistito e continua a farlo. Ecco perché considero questo 49% quasi una vittoria, viste le circostanze e lo stato di emergenza che dura ormai da 10 mesi.

Sono state denunciate numerose irregolarità durante le votazioni. Le opposizioni hanno contestato un terzo dei voti.

Mi sembra giusto. E’ stato un voto truccato. Ci sarà una durissima battaglia legale, ma credo che nessun giudice oserà mai mettere in discussione questo risultato. Il potere giudiziario è nelle mani di Erdogan. La cosa importante, però, è che ora ci siamo contati e sappiamo in quanti siamo a volere sfidare il regime.

Lei vive in esilio Germania e molti turchi che vivono lì hanno votato sì. Perché?

Perché qui non sono mai stati trattati bene e questa è stata la loro reazione, quella di chi si sente considerato un cittadino di serie B. Hanno reagito con una forma di nazionalismo, trovando in Erdogan quell’identità che il governo tedesco non gli ha mai dato. Questo dimostra anche il fallimento del processo di integrazione qui in Germania.

Lei a febbraio da Berlino ha lanciato un portale di notizie in lingua turca e tedesca, che si chiama Ozguruz (“Siamo liberi”). Si può leggere in Turchia?

A dire il vero il nostro sito è stato oscurato dal Governo turco prima ancora che partisse. Ma chi vive in Turchia sa come aggirare certi divieti e riesce a trovarci su Internet. Pubblichiamo notizie che nel mio paese verrebbero censurate. Qui trovano spazio tutti quei giornalisti che in Turchia non possono più scrivere. Siamo una sorta di portale in esilio. Ho iniziato da solo e ora siamo in quindici. Qui in Germania siamo in contatto anche con accademici, politici, artisti e intellettuali con i quali stiamo discutendo del futuro della Turchia. E’ una sorta di think-tank, un laboratorio in grado di produrre alternative politiche al dopo Erdogan.

Lei è stato condannato a 5 anni e 10 mesi di carcere per rivelazione di segreto di Stato dopo aver pubblicato sul quotidiano Cumhuriyet foto e video che documentavano il traffico di armi del governo turco verso la Siria. Erdogan le ha giurato vendetta, eppure il suo appoggio ai ribelli siriani era noto.

Proprio così. Negli ultimi anni sono uscite moltissime notizie sul traffico di guerriglieri islamici lungo la frontiera con la Siria, si è parlato di ospedali turchi che curavano i militanti dell’Isis; i loro quartier generali a Gaziantep, Istanbul, Ankara li conoscevano tutti. Non so dire se fossero solo dell’Isis o anche di altri gruppi islamici, ma di certo avevano l’appoggio del governo turco. Questa però era la prima volta che si vedevano delle immagini. Il video era incontrovertibile ed era nostro dovere pubblicarlo. Non si trattava di un segreto di Stato, ma di un segreto di Erdogan.

Erdogan ha fatto un’inversione di marcia nella sua politica mediorientale, alleandosi con i suoi ex nemici Assad e Putin. Come definirebbe la sua strategia in Siria oggi?

E’ un tipo pragmatico, sta facendo il suo gioco in una regione destabilizzata. La stessa cosa è successa con l’Unione europea: cinque anni fa ci andava a braccetto, adesso Erdogan chiama i tedeschi nazisti. Cerca solo nuovi alleati per sopravvivere a questa crisi ed è pronto a sacrificare i propri valori in nome degli affari.

Che responsabilità ha il governo turco per gli attentati che stanno insanguinando la Turchia da alcuni anni a questa parte?

Aver sostenuto la guerriglia islamica è stato un errore e noi l’abbiamo sempre detto. Erdogan ne era entusiasta e ora ne paga le conseguenze.

C’è un mandato di cattura che pende sulla sua testa. Lei crede ancora nella giustizia turca?

Ovviamente no. Fino a quando ci sarà Erdogan al potere non credo che rientrerò in Turchia. Ma sono così contento di vedere che ci siano 24 milioni di terroristi come me laggiù, che hanno votato contro questo regime. Per erdogan siamo tutti terroristi e questo fa della Turchia il Paese con la più alta concentrazione di terroristi al mondo. Ma allora temo che ci sia qualche problema con la definizione stessa di terrorista. Se criticare il regime vuol dire essere un terrorista, sono orgoglioso di essere uno di loro.

Durante i suoi 92 giorni in carcere lei ha scritto un libro dal titolo “We Are arrested”, che presto uscirà anche in Italia e nel quale racconta tutti i retroscena di quello scoop che le ha cambiato la vita (lei è stato anche vittima di un tentato omicidio per questa vicenda). Crede che ne sia valsa la pena?

Certamente. Non mi pento di nulla. Era mio dovere informare i lettori. Tra l’altro la mia tesi di dottorato era proprio sul segreto di Stato usato contro il diritto di cronaca. Ne scrivevo 25 anni fa e ora lo sto sperimentando sulla mia pelle.

Quando esce il libro in Italia?

A maggio con il titolo “Arrestati”.

Lei è stato accusato anche di terrorismo per aver collaborato con il movimento del predicatore islamico Fetullah Gülen, a cui Erdogan ha attribuito la pianificazione del fallito golpe di luglio. Che rapporti aveva con lui?

Abbiamo sempre denunciato con forza la pericolosità di questo movimento, con cui per anni si è accompagnato Erdogan. Gulen ed Erdogan hanno creato una grande macchina del fango contro i loro avversari. E ora il governo accusa noi di essere gulenisti. La mia unica relazione con il movimento di Gulen è stata quella di averlo sempre combattuto. Io sono contro qualunque tipo di movimento islamista, non contro l’Islam, ma credo che sia pericoloso portare la religione in politica. Oggi essere gulenista in Turchia è come essere stato ebreo negli anni ’30 in Germania. Se vuoi sbarazzarti di qualcuno dici che è un gulenista. Ma se c’è una persona che può essere accusata di essere il gulenista numero uno al mondo, quello è Recep Tayyip Erdogan.

Dopo il tentato golpe il Governo ha lanciato una brutale epurazione di giudici, avvocati, insegnanti, militari, giornalisti, impiegati statali. Fino a che punto può spingersi la vendetta di Erdogan?

Non si fermerà fino a che non avrà messo a tacere qualunque opposizione nel paese. E’ l’atteggiamento tipico dei dittatori. Lui prende ogni critica come un’offesa personale.

Lei vede il rischio di un isolamento della Turchia dopo l’esito del referendum?

In realtà sì, ecco perché credo che Erdogan come prima cosa dovrà allentare le tensioni con l’Unione europea, soprattutto dopo le pesanti dichiarazioni degli ultimi mesi, contro la Germania, ad esempio, e in generale contro tutto il mondo cristiano. Erdogan lo ha sempre contrapposto a quello mussulmano, ma ora dovrà abbassare i toni, perché l’economia zoppica e la Turchia ha bisogno dell’Europa, che è uno dei suoi principali partner commerciali. Anche sulla pena di morte dovrà fare un passo indietro. Io sono convinto che Erdogan stesse bluffando quando ha detto di volerla reintrodurre e ora dovrà convincere i propri sostenitori che non è un buon momento per farlo.

La Turchia è diventata la più grande prigione al mondo di giornalisti. Si va in carcere anche per un tweet. Chi fa opposizione oggi in Turchia? Chi osa criticare il Governo?

E’ rimasto il mio ex giornale, insieme a molti giornalisti coraggiosi che combattono ogni giorno contro la censura. Anche in modo clandestino. Ce ne sono tantissimi in prigione, altri condannati all’ergastolo, molti han scelto l’esilio, alcuni di loro vivono qui in Germania e cercano di fare opposizione da fuori.

Sua moglie è ancora in Turchia e non può uscire dal paese, perché?

Le hanno confiscato il passaporto senza nessuna motivazione. Abbiamo impugnato questa decisione e attendiamo la sentenza. Sono 8 mesi che non la vedo.

Lei si è spesso lamentato del fatto che i leader europei non abbiano denunciato con forza la repressione della libertà di stampa in Turchia e questo perché l’Unione europea ha bisogno di Erdogan per gestire i profughi. Che cosa rappresenta l’accordo sui migranti per il governo turco?

E’ un patto scellerato che conviene a tutti: frena l’ondata migratoria verso i Paesi dell’Unione europea e in cambio si compra il silenzio dell’Europa sulle violazioni dei diritti umani in Turchia.

Che tipo di società sogna Erdogan?

La Turchia è un esempio unico di paese con un governo laico e un’enorme popolazione mussulmana. E’ stato molto importante poter dimostrare al mondo che Islam e democrazia possono convivere. Erdogan purtroppo ha spinto più verso l’Islam, ma senza democrazia l’Islam rischia di diventare un regime oppressivo, una sorta di sharia. La Turchia laica è in pericolo. Io sono molto preoccupato, ma anche fiducioso che la maggioranza dei cittadini turchi sosterrà lo Stato laico e non lo Stato islamico.

Francesca Nava

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