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Che fine ha fatto l’Ape?

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Anche il freddo un po’ anomalo delle settimane scorse sta passando. Dopo la vittoria di Matteo Renzi nelle primarie del Pd, la primavera – che si sarebbe rifiutata di sbocciare se non avesse vinto il giovane caudillo –  è  finalmente scoppiata radiosa e felice. Nelle (poche) aree verdi delle città la natura fa esplodere la sua rinascita. I fiori ricoprono i prati, pronti a ricevere il bacio delle api e a donare loro la materia prima affinché producano, nei loro alveari, quel nettare degli dei che è il miele. C’è però una  APE speciale, attesa per il 1° Maggio, che ancora non dà segni di sé. Pare che sia rimasta rinchiusa all’interno dei Palazzi del Potere e non riesca più ad uscire.

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Visto il ritardo nella sua predisposizione, il Consiglio di Stato ha avanzato due principali rilievi al testo del decreto sull’APE social predisposto dal governo: l’esigenza di spostare di un mese, al 31 luglio, l’arco temporale in cui presentare le domande; il riconoscimento comunque retroattivo al 1° maggio per gli aventi diritto. Osservazioni ovvie: il Governo  avrebbe potuto arrivarci anche da solo.

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Con Valentino Parlato se ne va un pezzo di storia della sinistra italiana. Radiato dal Pci, insieme agli altro de Il Manifesto principalmente per una questione di democrazia interna rimase orgogliosamente comunista anche quando tanti altri dimenticarono, dalla sera al mattino successivo, di esserlo stati.

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I quotidiani annunciano che gli over 50 stanno perdendo il lavoro, mentre aumenta l’occupazione giovanili, pur in un quadro ancora critico. La smetteranno almeno di dire che i giovani non trovano lavoro perché gli anziani sono stati  incatenati al loro impieghi a causa della riforma Fornero, al punto da aver bloccato il turn over?

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