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Vi racconto come opera la Guardia costiera libica

C’è un’altra faccia della medaglia nel caso Ong ed è quella della guardia costiera libica. Una faccia inevitabilmente meno conosciuta perché è più difficile parlare con un interlocutore credibile, e non è chiaro a quale governo o milizia rispondano i militari che si occupano dei migranti. La confusione è dovuta al caos politico dello scacchiere libico, dove il governo di Fayez al-Sarraj (nella foto di copertina)e le milizie di Khalifa Haftar non riescono a trovare un accordo mentre il resto del territorio rimane infestato da bande armate. Abbiamo provato a fare chiarezza con Riccardo Chartroux, di ritorno da una settimana passata a Tripoli dove ha intervistato per il Tg3 il presidente al-Sarraj.

Venerdì l’Ong tedesca Sea-Watch raccontava a Formiche.net di un incidente con una nave militare libica e denunciava gli interventi dei militari sui migranti ben al di là del mare territoriale. Chartroux ha raccolto la versione opposta, quella dei militari che tornavano a riva con i migranti sottratti ai volontari tedeschi: secondo i libici la barca con i migranti non stava affondando e dunque l’Ong non stava prestando soccorso ma commettendo il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.

Quella dell’altra sera è solo l’ultima di una lunga serie di tensioni fra le Ong e la guardia costiera libica, che accusa le navi dei volontari di facilitare il traffico dei migranti attendendoli sulla linea delle 12 miglia, qualche volta oltrepassandola pure. Lo stesso dicono delle missioni Ue. “Uno scafista qualche tempo fa mi raccontava che l’operazione Sophia era per loro una grande cosa: sapendo che le navi li aspettano al confine, gli scafisti hanno smesso di caricare i migranti sui barconi di legno”, racconta Chartroux, che aggiunge: “Li mettono su dei gommoni che fabbricano loro con la gomma dall’Egitto e la resina libica, poi li mettono in mare dicendo ai migranti che dopo 6 miglia nautiche li aspetta una nave, tanto loro non sanno la differenza fra 6 o 12 miglia”.

Quasi tutti i migranti muovono proprio dalla parte ovest della Libia: sia perché il percorso da fare è più breve, sia perché, secondo gli scafisti, la zona di Haftar è controllata in modo più rigido mentre a ovest i porti di Zuwārah, Zāwiyah e Sabrata sono in mano a milizie condiscendenti con i trafficanti. A parlare con i libici si percepisce come la situazione sia ormai insostenibile: su una popolazione totale di 6 milioni e mezzo di abitanti ci sono un milione e mezzo di altri africani stanziati nel paese. La maggior parte cercano di ripartire, molti vengono rimandati indietro dall’Europa, solo alcuni, come i nigeriani, preferiscono non intraprendere il “viaggio della speranza” e lavorano a Tripoli come operai, meccanici o braccianti per poi tornare in patria con qualche soldo in più. Interrogato da Chartroux sul caso Ong, al-Sarraj si è limitato a un vago auspicio per un coordinamento più efficace delle operazioni, “il suo addetto stampa mi aveva detto di non fargli quella domanda perché non avrebbe saputo cosa rispondere”.

La verità è che il primo problema di coordinamento è dovuto alle falle della guardia costiera libica, presente in cinque zone costiere, tre controllate da al-Sarraj e due da Haftar. Il suo capo, Abdurahman Al Milad, più conosciuto come Bija e accusato dalla giornalista italiana Nancy Porcia di essere colluso col traffico di vite umane, secondo fonti libiche sarebbe in questi giorni in Italia per essere addestrato da alcuni ufficiali della guardia costiera italiana. A Tripoli come negli altri porti non è facile distinguere i militari della guardia costiera dalle milizie armate con cui lo Stato convive: “per entrare nel porto commerciale di Tripoli ad esempio si deve chiedere il permesso alla milizia di un certo Taha, che sostiene di essere la vera guardia costiera”.

Queste milizie militari non si occupano solo di migranti, hanno anche altri business. “Zuwārah è sempre stata il centro del traffico di carburante, la benzina in Libia è sussidiata e costa un centesimo al litro” spiega l’inviato del Tg3, “Loro lo portano a Malta dove c’è una zona in cui si può vendere la benzina ai pescherecci italiani che fanno rifornimento lì. Nel porto di Malta le tasse si pagano, ma in altre zone costiere dell’isola non pagano nulla. Già ai tempi di Gheddafi avveniva questo traffico, oggi però con l’anarchia del paese è diventato più intenso, specie quello della nafta”.

Un episodio di questa settimana che – ci racconta Chartroux – da un’idea della situazione di anarchia in cui si trova la Libia oggi e della totale assenza dello Stato. Inseguendo una barca di migranti la guardia costiera ha incontrato un motoscafo dei trafficanti di uomini che hanno aperto il fuoco: due guardie sono ferite, una gravemente, uno degli scafisti invece ha perso la vita. Giovedì, come per usanza tribale, la famiglia della guardia costiera che ha sparato si è incontrata nella casa di un mediatore con quella dell’ucciso per ripagare il torto subito: ai famigliari dello scafista saranno versati 300.000 dinari.

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