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Perché laurearsi conviene ancora

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Almalaurea, il consorzio di 74 università italiane, ha presentato a Parma il Rapporto sulla Condizione occupazionale, intervistando 620 mila laureati di primo e secondo livello nel 2015, 2013 e 2011, interpellati rispettivamente a uno, tre e cinque anni dal conseguimento del titolo. Dal rapporto emerge che i laureati godono di vantaggi occupazionali significativi rispetto ai diplomati di scuola secondaria superiore durante l’arco della vita lavorativa: nel 2016, il tasso di occupazione della fascia d’età 20-64 è il 78% tra i laureati, contro il 65% di chi è in possesso di un diploma. Almalaurea afferma che “all’aumentare del livello del titolo di studio posseduto diminuisce il rischio di restare intrappolati nell’area della disoccupazione. Quindi, nonostante la crisi economica, laurearsi “conviene” perché i laureati sono in grado di reagire meglio ai mutamenti del mercato del lavoro, disponendo di strumenti culturali e professionali più adeguati”. Ad un anno dal titolo di studio emerge come risulti occupato il 68% dei laureati triennali e il 71% dei laureati magistrali biennali. Il tasso di occupazione è quindi in miglioramento, seppur lievemente, rispetto le precedenti rilevazioni: dopo la contrazione tra il 2008 e il 2013 (-16 punti percentuali per i triennali; -11 per i magistrali), nell’ultimo triennio il tasso di occupazione è aumentato di oltre 2 punti percentuali per i triennali e di 1 punto per i magistrali biennali.

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Ci sono dei neologismi che sono entrati a far parte del linguaggio della politica con un significato specifico: rottamare, inciuciare, balcanizzare e quant’altro. D’ora in poi se ne userà uno nuovo per sottolineare la sconfitta delle forze sovranpopuliste: macronizzare.

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La prima mossa di Emmanuel Macron, dopo essersi insediato all’Eliseo e aver indicato il suo primo ministro, è volato a Berlino a incontrare Angela Merkel. Cominciamo bene.

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Nei talk show si continua a dare per assodato che la politica di rigore (flessibile) nei conti pubblici sia stata disastrosa. Poi, come se niente fosse, si ricorda che nella Ue e nell’Eurozona l’economia è in ripresa e che l’Italia ha un tasso di crescita che è circa la metà di quella media. In una recente trasmissione televisiva,ho fatto notare ad un sovranpopulista di sinistra che se la politica di austerità producesse davvero solo dei guai non si capirebbe come possa la Germania far valere un discreto sviluppo, una forte riduzione della disoccupazione (anche giovanile) ed aver accolto senza fare tante storie più di un milione di profughi. Il mio interlocutore ha replicato che quel Paese ha un surplus superiore a quanto sarebbe consentito, ma che nessuno solleva obiezioni. È vero. Ma questa inadempienza è comunque il segnale di un andamento vivace dell’economia nonostante l’attenzione un po’ maniacale per l’equilibrio dei conti pubblici.

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