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Processo alle Ong, ecco le inchieste di Piazza Pulita

Piazza pulita

In questi giorni il caso Ong è arrivato nelle istituzioni: martedì sono stati sentiti dalla Commissione Difesa del Senato esponenti di Medici Senza Frontiere, l’Ammiraglio Donato Marzano e il procuratore di Siracusa Francesco Paolo Giordano, mercoledì il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro, giovedì è invitata a parlare l’organizzazione MOAS. Mentre divampa il processo mediatico sulle Ong e la politica si perde nelle polemiche, ci sono giornalisti che lavorano a partire dai fatti e non dalle speculazioni. Antonino Monteleone ha curato il servizio di Piazza Pulita della scorsa settimana sulle Ong e i migranti, questo giovedì esce la seconda parte con il titolo “Il paese loro”: tra le altre immagini, si vedranno le riprese della Guardia Costiera del nuovo “paese” di chi non ce l’ha fatta in mare, gli abissi del Mediterraneo dove giacciono ancora tra i relitti delle navi migliaia di cadaveri. Raccontando le sue ricerche a Formiche.net ci ha permesso di mettere ordine in un caso delicato dove il vero e il presunto si confondono troppo facilmente.

L’INDIFFERENZA GENERALE NEL MEDITERRANEO

Come rispondono i responsabili delle Ong alla valanga di accuse che si sta riversando sul loro lavoro? Alcuni, come Loris De Filippi di Medici Senza Frontiere, ricordano come le Ong siano chiamate a colmare un vuoto lasciato dalle istituzioni. Monteleone spezza una lancia in loro favore contro il video di Luca Donadel divenuto virale, che le accusava di andare a prendere i migranti a poche miglia dalla costa libica. “Anche io in questi giorni ho seguito la banca dati di Marinetraffic, non è vero che le barche staccano i “transponder”, mi è spiaciuto sentire una cosa del genere da un Procuratore della Repubblica. Se qualche imbarcazione spegne il localizzatore elettronico forse Donadel non riesce più a vederla, ma i radar certamente si, e la maggior parte delle navi, anche quelle delle Ong più discusse, non si spingono mai oltre le 18 -20 miglia dalla costa libica”. Non aiuta le Ong nel soccorso in mare la totale assenza di supporto da parte degli Stati che si affacciano su quella parte di Mediterraneo. In Libia, paese lacerato dalla guerra civile e privo di un unico governo che controlli la costa, non è chiaro chi chiamare, e comunque non si riceve quasi mai una risposta. Lo stesso si può dire della Tunisia e della stessa Malta con il suo “Maritime Rescue Center”, che non risponde mai alle richieste di aiuto delle Ong. “Malta si dichiara una piccola ‘città-stato’ incapace di accogliere i migranti ma al tempo stesso pretende di incassare le loyalties dalle compagnie navali e dalle compagnie aeree”, commenta l’autore del servizio per La7, “bisogna scegliere, o si tratta di un piccolo stato e allora non deve riscuotere le loyalties delle compagnie, oppure è uno stato come gli altri e deve farsi carico della sua quota di migranti”.

LE ONG AL CENTRO DEL CICLONE

Il procuratore di Catania Carmelo Zuccaro ha parlato in particolare di sei Ong “sospette”, cinque tedesche (Sea-watch, Sea-eye, Life boat, Jugend Rettet, Sos Méditerranée) e una spagnola (Proactiva Open Arms). Su queste organizzazioni al Senato Zuccaro ha ribadito di non avere nessun riscontro anche nella “peggiore delle ipotesi”, ovvero quando vi sia il sospetto di transazioni illecite di denaro tra gli scafisti e le stesse Ong. Per Monteleone a Zuccaro si deve “il rispetto che è dovuto al capo di una grossa procura che si occupa anche di altri gravi problemi oltre che dei migranti”, ma le valutazioni del procuratore davanti alla Commissione Schengen e alla Commissione Difesa del Senato sembrano andare “molto al di fuori del campo permesso a un Procuratore della Repubblica”.

Un’altra Ong che rientra tra le carte della procura di Catania è MOAS (Migrant Offshore Aid Station), l’imponente macchina di salvataggio nel Mediterraneo con sede a Malta che conta più di 33.000 migranti salvati dall’abisso. L’arsenale di cui dispone non è nelle possibilità di tutti: due imbarcazioni, la Topax Responder e la Phoenix, gommoni e droni di ricognizione. I proprietari sono due filantropi milionari che hanno fatto fortuna con una compagnia di assicurazioni del personale in aree ad alto rischio. “Quel che colpisce della MOAS è una struttura assolutamente atipica” prosegue il cronista di Piazza Pulita, “Medici Senza Frontiere non ha nel suo organico ex ufficiali di alto grado dell’esercito di uno Stato, la MOAS ne ha avuti due: Ian Ruggier, l’ufficiale di Malta che aveva represso con la forza la protesta dei migranti sull’isola, e l’ex capo di stato maggiore maltese Martin Xuereb. Inoltre l’Ong riceve i droni dalla società austriaca Schiebel, un’azienda che oggi vende droni per il salvataggio dei migranti ma domani non si fa problemi a venderli alla portaerei di un esercito”. Insomma, fino a quando non emergeranno dei veri capi di accusa, sulla MOAS si rimarrà sul piano del giudizio etico. Anche sulla questione dei finanziamenti illeciti da parte dei trafficanti di vite umane per ora non si è mai andati oltre i dubbi e i sospetti: “Gli scafisti si approfittano sia di chi parte sia di chi li soccorre, sanno di poter usare la generosità di ragazzi dai 20 ai 30 anni che spendono mesi in quella che sentono come una missione. I Coldplay sul loro sito hanno deciso di devolvere alla MOAS i ricavati della vendita di una maglietta, la Pro Activa Open Arms ha fra i suoi finanziatori Richard Gere e il Manchester City, perché mai queste Ong dovrebbero volere i soldi degli scafisti?”.

 

 

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