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Cosa si aspettano i giovani dall’Europa e dalla politica

giovanni, ROBERTO SOMMELLA, costituzione

Cosa hanno in comune Emmanuel Macron, Paolo Gentiloni, Angela Merkel e Theresa May? Sono capi di stato e di governo, rappresentano i paesi fondatori dell’Europa e un partner che invece vuole lasciarla dopo averla difesa in due guerre mondiali, hanno intenti comuni per combattere gli effetti della globalizzazione e del terrorismo. Ma, entrando nella loro sfera privata, i quattro leader forse più importanti del vecchio continente non hanno figli. Non che sia una colpa, per carità, ma forse un segno del destino. Figlie e figlie sono infatti il principale obiettivo degli attacchi dell’Isis ai luoghi di divertimento, ormai in uno stillicidio continuo che prende di mira anche l’Iran. Sono loro il vero obiettivo del terrore islamico: le generazioni nate dopo il 2000 che rappresentano le gambe, il cuore, la speranza, il coraggio e il futuro stesso dell’Unione e del mondo. Poniamoci allora tutti una domanda: stiamo facendo abbastanza per ascoltare le loro voci?

In Italia, visto il dibattito lunare sulla legge elettorale e le prossime elezioni, non sembra. Eppure dalle ultime rilevazioni dell’Istat emerge che i più giovani in Italia sono il gruppo sociale più qualificato (dopo i manager) e allo stesso tempo il più povero perché letteralmente dimenticato per decenni dalle politiche di spesa pubblica di numerosi governi. Nel 2016 i 15-34enni che vivono a casa con i genitori sono il 68,1 per cento e corrispondono a 8,6 milioni di persone: un partito importante, degno di nota, ma senza concreta rappresentanza in nessuno dei quattro firmatari del ‘tedeschellum’ (PD, Forza Italia, M5S, Lega) ne’ nei loro programmi. Semplicemente, la politica non li considera, ne chiede solo il voto.

I giovani però sanno di contare. Basta andarsi a leggere la Dichiarazione di Ventotene, scritta da trenta studenti francesi, tedeschi e italiani e consegnata alla Presidente della Camera Laura Boldrini e al Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani per rendersene conto. In tredici articoli, non numerati perché hanno tutti la stessa priorità, che vanno dalla pace alla comunicazione al ripudio della violenza anche in rete, spicca quello dedicato al Rispetto: “Nel territorio dell’Unione i cittadini europei e non europei devono accettarne e rispettarne i valori fondamentali, le tradizioni e le leggi. Non c’è posto per chi non rispetti le leggi e tutti gli altri individui”. Queste poche righe illustrano perfettamente i sentimenti di chi teme di finire ammazzato mentre beve una birra o assiste ad un concerto. Sono emanazione di un lucido e pragmatico ordine mentale di milioni di individui: libertà di movimento, libertà di studio, libertà di pensiero. E’ così difficile tradurlo in azione nelle leggi europee e nazionali che contrastano il terrorismo e l’immigrazione clandestina?

La risposta del nostro ceto politico a queste istanze purtroppo fa rabbrividire. Come i pantaloni a zampa d’elefante e gli zoccoli neri da indossare sotto i jeans di velluto blu a coste, è tornata anche la moda del proporzionale. Solo che il modo di vestirsi non ha mai impoverito uno Stato, semmai svuotato il bilancio famigliare. Invece, il sistema elettorale della grande spartizione del dopoguerra è alla base dell’impennata del debito pubblico, ha prodotto una sessantina di governi spesso quadri o pentapartitici e ha contrassegnato l’utilizzo della spesa pubblica come strumento di governo che spesso ha indirizzato le sue attenzioni verso le fasce adulte della popolazione, dimenticando sempre i giovani. Cassa del Mezzogiorno, baby pensioni, indennità e sprechi di ogni genere hanno nutrito dalla fine del boom economico degli anni sessanta ai primi anni novanta la Bestia del debito pubblico, alimentando divari sociali, a prescindere da chi ci fosse a Palazzo Chigi. Oggi, appena nato, un italiano si trova subito sulla testa una bella ipoteca di 35.000 euro che lo accompagnerà dalla culla alla pensione.

Suscita quindi qualche perplessità non tanto la voglia degli attuali partiti di tornare giustamente al voto, quanto questa operazione di rimozione collettiva dei mali della nostra spesa pubblica, arrivata a pesare il 133% del Pil in un’epoca peraltro di tassi zero e la totale noncuranza delle istanze dei giovani, che tornano buoni nelle scuole per fare numero e pubblico a qualsiasi iniziativa pur lodevole che non trova poi mai riscontro nella pratica azione di governo.

I giovani, tutti, ma in particolar modo quelli europei, hanno voce e progetti e prima o poi conteranno molto di più di quanto si pensi, a prescindere dai prossimi risultati elettorali.

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