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Giovanni Falcone ricordato da Liliana Ferraro

Di Liliana Ferraro
Falcone

Parlare di Giovanni Falcone è per me cosa molto difficile. Nonostante il tempo trascorso dalla morte non riesco a restare fredda e libera da emozione. Continua a essere fortissimo il ricordo, vissuto e non raccontato, delle tante sofferenze affrontate giorno dopo giorno; delle umiliazioni subite; delle difficoltà indescrivibili che ostacolarono il lavoro del giudice Falcone.

E sono molto grata a Giovanni Bianconi non solo per avere scritto un libro su Giovanni Falcone, se ne scrivono tanti. Lo ringrazio per avere adottato “il metodo Falcone” in questo lavoro. Una ricostruzione minuziosa, rigorosa e attenta ai particolari, con la stessa precisione del protagonista del suo libro.

Nel lontano 6 settembre 1991, Bianconi, giovane giornalista de La Stampa aveva intervistato il già famoso giudice Falcone, in un momento molto difficile. Il titolo dell’articolo è sufficiente a richiamare il periodo: “Non ho insabbiato. Mancano le prove. Ecco perché Orlando sbaglia”.

All’ultima domanda sull’asserito smantellamento della lotta alla mafia, e sul tradimento per avere accettato di andare con Martelli al Ministero, Giovanni Falcone rispose: “Lo so, c’è chi sostiene che io sono passato su altri versanti, ma non è così. In me non è cambiato assolutamente niente, io sono sempre uguale a me stesso, voglio fare soltanto il magistrato. Posso avere maggiore esperienza, questo sì, e anche maggiore amarezza. Ma non certo minore impegno”. Il racconto storico oggi fatto da Bianconi è la conferma di quella verità.

Peccato che furono “i Cattivi” che lo ammazzarono a capire quella verità e non i cosiddetti “Buoni”, che lo crocifissero in vita. Giovanni era e voleva fare il giudice. Resta vivo in me il ricordo del suo orgoglio di essere il giudice Falcone, cittadino italiano e figlio di una terra adorata, la Sicilia.

Quando cominciammo la nostra collaborazione partimmo proprio dall’orgoglio di “Gente del Sud”: Giovanni rivendicava l’importanza del nome “Regno delle Due Sicilie” che assumeva essere assorbente, io rispondevo che, però, la Capitale era Napoli, e quindi, secondo me, il Governo e le decisioni appartenevano alla mia terra.

Giovanni aveva una buona dose di scetticismo sciasciano, io avevo una buona dose di fatalismo edoardiano. Fummo però, subito d’accordo su alcune convinzioni: Giovanni Falcone, come peraltro ha scritto in Cose di cosa Nostra, era un servitore dello Stato: “Io credo nello Stato”; “Sono un servitore dello Stato che lavora in un territorio ostile”. Con questa premessa fu facile trovare l’intesa: avremmo lavorato insieme per lo Stato!

Rispetto delle leggi, rispetto dei ruoli, rispetto dei protagonisti del processo, dall’inquirente all’imputato, dai difensori ai collaboratori. Tutti importanti.

È per questa convinzione che nonostante il dolore immenso che mi attanagliava nell’aereo che mi portava a Palermo il 24 maggio del 1992, trovai la forza di rivolgermi al Presidente Spadolini per chiedergli di ritornare a Palermo anche il giorno successivo, per assistere ai funerali di Stato. Il massimo rappresentante dello Stato sulla bara di Giovanni Falcone. Poca cosa? Certo.

Ma io pensai che Giovanni, guardandoci dalle celesti praterie sarebbe stato contento. Ringrazio Bianconi per averlo ricordato e lo ringrazio anche per la fredda e lucida descrizione dell’atmosfera a Palermo il giorno dopo la strage: “Il teatro delle dichiarazioni e prese di posizioni che suonano quasi tutte incomplete, imbarazzate, preoccupate di mettere in luce qualche aspetto e lasciarne in ombra altri. A volte ipocrite. Per continuare a barcamenarsi, senza avere capito prima quello che stava accadendo. E forse nemmeno adesso”.

Queste parole mi hanno riportata a oggi. Nei giorni appena trascorsi si sono svolti il tutto il Paese incontri di commemorazione e ricordo. Una partecipazione oceanica. Io ho seguito alla televisione un solo evento: la seduta del Consiglio Superiore della Magistratura nel corso della quale è stato presentato il volume “Giovanni Falcone e il Consiglio Superiore della Magistratura”.

Ringrazio il vice presidente Legnini che è presente anche oggi e che, in quell’occasione, ha sottolineato che “ è necessario chiedersi in questi ultimi 25 anni, quali passi avanti siano stati eventualmente compiuti e se il contributo di Falcone abbia avuto frutti nella vita consiliare”.

Mi permetto di chiedere se quella che è stata definita, giustamente, un’operazione di trasparenza, avrà un seguito di approfondimento e verifica perché, sempre utilizzando le parole del Presidente Legnini, il “CSM adempie alle proprie prerogative costituzionali, di garanzia dei valori fondanti della giurisdizione, in quanto beni appartenenti alla generalità dei cittadini”.

Credo che Giovanni Falcone avrebbe condiviso queste parole e avrebbe apprezzato questa promessa di impegno. Io, come cittadino che continua a credere nello Stato spero tanto in questa promessa.

E d’altro canto un autorevole componente del CSM ha scritto che “leggendo il libro di Bianconi, è soprattutto la magistratura di oggi che non può dimenticare, di Falcone, la lucidità di immaginare il futuro e che, – sono sempre le parole del consigliere Morosini, – la magistratura deve guardarsi dentro – con lo stesso coraggio che ebbe il giudice siciliano. E ripensarsi per attuare un salto di qualità su formazione, verifiche professionali, selezione di chi dirige gli uffici, prevenzione e repressione delle opacità interne”.

Se il CSM vorrà fare questa verifica, la ricostruzione storica fatta da Bianconi potrà essere una utile traccia per sollecitare le opportune riflessioni in relazione alle necessarie revisioni. Sempre ricordando il pensiero di Giovanni Falcone penso anche che questo percorso debba essere fatto innanzitutto con gli avvocati, coprotagonisti del processo, ma che debba coinvolgere anche i giornalisti.

Una società complessa qual è quella in cui viviamo carica tutti noi di compiti ancora più gravosi che nel passato ed impone anche una diversa attenzione alla comunicazione ed alla professionalità dei giornalisti. Anche questo era un tema molto caro a Giovanni che credeva fortemente nell’importanza di una corretta informazione, uno dei pilastri a garanzia del sistema democratico. Giovanni era un sincero democratico. Credeva nell’amicizia, nella lealtà, nella giustizia e nella cooperazione tra le nazioni democratiche.

Siamo nella sede del Centro Studi Americani e la scelta non è casuale e non soltanto perché il Presidente del Centro, Gianni De Gennaro è stato da sempre il miglior amico e collaboratore di Giovanni Falcone. Siamo in questa sede perché Falcone trovò negli Stati Uniti condivisione e sostegno negli apparati dello stato, nel mondo politico e nella pubblica opinione. Sempre rimanendo il giudice Falcone.

Il 4 giugno del 1992 il Senato degli Stati Uniti, con la risoluzione n. 303, ha riconosciuto a Giovanni Falcone il titolo di “WORLD HERO”. Nel 1996, per decisione del Direttore di FBI Louis Freeh, il busto di Giovanni Falcone è stato collocato nel giardino della sede di FBI a Quantico. Tutti gli anni una delegazione ufficiale di FBI è presente a Palermo il 23 maggio.

In anni recenti il Direttore di FBI ha detto “il Giudice Falcone può non avere sconfitto del tutto la mafia siciliana durante la sua vita, ma sostenendo i suoi ideali ha scritto la storia”.

In quel paese il pensiero di Falcone è vivo e attuale ancora oggi e io di questo sono molto grata agli Stati Uniti d’America.

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