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Ecco cosa dice e pensa Silvio Berlusconi

Una (quasi) certezza dal primo turno delle amministrative di domenica scorsa si può trarre: che il centrodestra unito è di nuovo competitivo per vincere. E che, anzi, in questa fase è forse l’area politica che gode del miglior stato di salute. Per il resto, invece, anche da quelle parti si naviga a vista, soprattutto perché l’alleanza tra Lega e Forza Italia – così produttiva sui territori – appare ancora molto difficile da costruire e confermare a livello nazionale.

L’ESITO DELLE AMMINISTRATIVE

Il voto, finora, ha dato ragione al governatore della Liguria Giovanni Toti che da mesi continua a sostenere la necessità di procedere con lo schema a tre punte formato da Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini. O con un accordo stabile tra i rispettivi partiti oppure con un nuovo soggetto unitario da testare in occasione delle prossime politiche laddove la nuova legge elettorale dovesse premiare le singole liste e non le coalizioni. Il caso di Genova – con il primo posto ottenuto dal manager Marco Bucci ai danni del candidato del centrosinistra Gianni Crivello – ne rappresenta soltanto la prova più emblematica. Ma non l’unica, considerato anche quanto accaduto a La Spezia, a Padova e in molti altri dei capoluoghi di provincia al voto domenica scorsa.

DALLA TEORIA ALLA PRATICA

In teoria, dunque, la strada dovrebbe apparire segnata perché è con questa formula vecchio stile – seppure vagamente innovata – che il centrodestra ha dimostrato di essere competitivo e in grado di calamitare il consenso degli italiani. La pratica – e cioè le scelte concrete – non è detto però che tenga conto di questa tendenza. Anzi. I problemi non mancano, a partire dai rapporti non certo idilliaci tra Berlusconi e Salvini. Per proseguire poi con le priorità del Cavaliere, che ancora non è chiaro quale obiettivo di fondo persegua: la vittoria del centrodestra – ma con la guida di una leadership da lui non pienamente controllabile o influenzabile – o, semplicemente, il risultato di Forza Italia, con l’aspirazione a diventare ago della bilancia all’interno del prossimo Parlamento. Forse entrambi, come ha spiegato la scorsa settimana in questa intervista a Formiche.net il giornalista Mario Sechi: “E’ la vecchia logica dei due forni. Se non ci sarà un chiaro vincitore, potrà rendersi disponibile alle larghe intese con il Pd. Se, invece, il centrodestra dovesse avere i voti necessari, farebbe un governo con i suoi vecchi alleati“.

LA LOGICA DELLE MANI LIBERE

Una fotografia che sembra prevedere quasi necessariamente un approccio dalle mani libere: da soli alle elezioni per poi, eventualmente, incontrarsi di nuovo all’esito del voto. Ulteriore conferma in questo senso è rappresentata dal sì convinto che Berlusconi e Salvini avevano prestato all’accordo a quattro (pure con il Pd e il M5s) sulla nuova legge elettorale, ora tornata all’esame della Commissione Affari Costituzionali della Camera dopo la bagarre della scorsa settimana in aula. A ulteriore prova del fatto che entrambi preferiscono non fare alleanze prima del voto. Nonostante si tratti di uno schema potenzialmente vittorioso, almeno a giudicare dal primo turno delle amministrative. Una scelta dettata anche dalla volontà di non scendere a compromessi sulla composizione delle liste e di portare in Parlamento solo fedelissimi: sotto questo profilo Berlusconi starebbe pensando a una quasi rivoluzione, con la conferma dei soli big e l’innesto di giovani leve cariche di entusiasmo e pure di voti (come emerso dalle elezioni di domenica ma non solo). E’ questo lo scenario raccontato da Carmelo Lo Papa su Repubblica che ha fatto pure il nome di qualcuno dei papabili: la genovese Elisa Serafini, la leccese Francesca De Benedetto, il casertano Gianpiero Zinzi e anche il vicepresidente di Anci Giovani – e rappresentante del centrodestra di Frosinone – Samuel Battaglini.

PROBLEMA DI LEADERSHIP

Se fosse confermato il Consultellum – ossia il sistema frutto delle due sentenze della Corte Costituzionale sul Porcellum e sull’Italicum – o se, in alternativa, fosse varata comunque una legge elettorale analoga, che non premi la formazione delle coalizioni, Berlusconi e Salvini dovrebbero, comunque, porsi il problema della leadership. Cosa farebbe Berlusconi? Antonio Tajani? Secondo alcuni rumors che arrivano da Arcore, starebbe anche pensando di assegnare questo ruolo a una donna, la deputata Mara Carfagna. Ma, ovviamente, – trattandosi del Cav – non mancano i piani alternativi e le incognite. Sempre che alla fine non tocchi allo stesso Berlusconi, nell’eventualità – al momento tutta teorica – di un pronunciamento positivo da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo cui i suoi legali si sono rivolti contro la legge Severino. Non è neppure da escludere che alla fine Berlusconi si riconcili definitivamente con Stefano Parisi e gli affidi la leadership. Oppure che riesca a convincere Carlo Calenda a mettere da parte tutti i suoi dubbi su un impegno a tutto tondo in politica e a scendere in campo al fianco (o alla guida) di Forza Italia. Quel che è certo è l’ancoraggio politico al Ppe ribadito anche di recente dal fondatore di Forza Italia.

COSA FANNO I POPOLARI DI ALFANO

In quest’ultima ipotesi la strada di Berlusconi potrebbe persino tornare a incrociarsi con quella di Angelino Alfano che ormai ha rotto definitivamente con il Pd e con Matteo Renzi. Ma non con l’attuale presidente del Consiglio nel cui governo l’ex delfino del Cav continua a ricoprire il ruolo di ministro degli Esteri. “Avanti con Gentiloni e con l’agenda Calenda“, ha annunciato qualche giorno fa Alfano dalle colonne di Repubblica. Senza clausola di sbarramento al 5% – ma non è assolutamente detto che questa possibilità sia tramontata del tutto – per lui e per gli altri popolari le cose si fanno oggettivamente più semplici. Ciò non toglie, però, che debbano comunque farsi trovare pronti, sia rispetto ad altre possibili sorprese sulla legge elettorale, sia in vista del voto delle politiche, in programma al più tardi a inizio 2018. E in questo senso l’opzione Calenda sarebbe un’ottima carta da poter far valere sul tavolo da gioco della politica.

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