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Perché è prematura l’euforia sul Pil italiano

Pil, GIANFRANCO POLILLO

Le più recenti dichiarazioni della delegazione del Fondo monetario, chiamata come ogni anno a verificare lo stato di salute di tutti i Paesi membri, sono state accolte con un nuovo brivido di piacere. Possibile crescita del Pil, per il 2017, all’1,3 per cento. Il che, per un malato anoressico, come l’Italia, è comunque una buona nuova. Tanto più che solo alcuni giorni prima, l’Istat, rivendendo le proprie stime al rialzo per il primo trimestre del 2017, aveva intravisto analoghi segni di ripresa. Valutazioni convergenti. Due indizi, che non fanno ancora una prova, ma che lascerebbero, comunque, ben sperare. Lasciarsi dietro le spalle una legislatura che ha offerto il peggio di sé, paragonando la situazione italiana a quella degli altri Paesi europei, è il sogno di una notte di mezza estate.

A costo di rovinare la festa, tutto questa euforia appare non solo prematura, ma senza alcuna base effettiva. Purtroppo, in Italia, abbiamo la cattiva abitudine di soffermarci solo sui titoli e non leggere il contenuto degli articoli. Applicare questo metodo ai ponderosi documenti programmatici rischia di giocare un brutto tiro. E farci scambiare lucciole per lanterne. A leggere tutto il documento predisposta dal FMI, il quadro che emerge ha un segno completamente diverso; pur prendendo per buone le stime dell’Istat che, come già detto in un precedente intervento, appaiono tutt’altro che consolidate.

Ecco, allora, cosa dicono realmente gli economisti del Fondo: FMI: “La ripresa dovrebbe continuare, ma i rischi per il futuro sono significativi”: questo l’incipit. Nel dettaglio: “incoraggiate dai dati del primo trimestre, le proiezioni per quest’anno sono dell1,3 per cento circa. Poiché i venti a favore – condizioni commerciali, politiche fiscali e monetarie – diverranno meno propizi, negli anni a venire, si prevede che la crescita (in base alle politiche attuali) si attesterà intorno all’1 per cento nel periodo 2018 – 2020. La crescita potrebbe sorprendere in positivo nel breve periodo, sulla scia di una più forte ripresa a livello europeo. Tuttavia, i rischi di ribasso sono significativi, correlati tra l’altro a fragilità finanziarie, incertezze politiche, eventuali battute d’arresto al processo di riforma ed a revisioni della valutazione dei rischi di credito nell’ambito della normalizzazione della politica monetaria”. Una sorta di responso che ricorda da vicino gli interventi della Sibilla.

Quindi cautela. Soprattutto attenzione ai dati di fondo. Quella crescita prospettica dell’1 per cento è il vincolo vero che prolunga una sorta di lunga agonia, di cui lo stesso FMI è consapevole. “il reddito pro-capite – aggiungono infatti poche righe più avanti – dovrebbe tornare ai livelli pre-crisi solo tra qualche anno e l’Italia divergerebbe ulteriormente dai pari dell’Eurozona”. Diagnosi condivisa dal Governatore della Banca d’Italia, che nelle sue dichiarazioni conclusive, lo scorso 31 maggio, era stato ben più esplicito e meno rassicurante: “Agli attuali ritmi di crescita – aveva detto – il PIL tornerebbe sui livelli del 2007 nella prima metà del prossimo decennio”. Quasi dieci anni di vacche magre, secondo la vecchia parabola biblica. Ce lo possiamo permettere? Questo è l’interrogativo di fondo alle quali tutte le forze politiche italiane, abbandonate visioni venate da un ottimismo di maniera, dovrebbero cercare di dare risposta. E provvedere.

Certo: i tempi sono i meno propizi. Le elezioni sono alle porte e con esse lo sforzo sarà quello di dimostrare l’indimostrabile. Che, nonostante tutto, l’Italia “eppur si muove” come avrebbe detto Galileo Galilei. La cui fine dovrebbe, tuttavia, far riflettere. Partire da una visione realistica della situazione italiana dovrebbe spingere tutti ad elaborare un programma credibile: da sottoporre successivamente all’intero elettorato. Per costruire quella base di consenso che è necessaria per affrontare problemi che, altrimenti, rischiano di incancrenirsi. Ma tutto questo sembra essere solo il cruccio di qualche economista bisbetico. Al quale dare, con un sorriso di commiserazione, una pacca sulle spalle.

Nel frattempo continueremo ad usare prodotti omeopatici. Il cui unico effetto sarà quello di rendere permanente un tasso di disoccupazione superiore all’11 per cento. Una povertà sempre più diffusa. Un senso di incertezza che uccide ogni “voglia di fare”, nella speranza che qualcun altro provveda. A cosa poi non è dato di sapere. Quando i segnali, a volerli vedere, descrivono una situazione diversa. Il quadro internazionale rischia di cambiare rapidamente. La FED americana ha deciso di rialzare i tassi di interesse dello 0,25 per cento. Un successivo rialzo vi sarà prima dell’inverno. Ed altri tre consecutivi nei prossimi due anni. Il tempo della grande inondazione monetaria, che ha consentito alla BCE di Mario Draghi di portare avanti politiche espansive senza precedenti – il famoso quantitative easing – sembra volgere al termine. Dovrebbe essere uno sprone a fare presto. Ad impostare una politica economica che faccia tutto il possibile per aggredire i nodi che bloccano la società italiana. Ed invece camuffiamo per oro un giudizio, come quello del FMI, che è solo un pezzo d’ottone. Non è un buon servigio che rendiamo a noi stessi. Dobbiamo averne consapevolezza.

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