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Cari colleghi giornalisti, ma che razza di giornali mandiamo in edicola?

mani pulite, legge elettorale

(Articolo ripreso da www.graffidamato.com)

È antipatico – lo so – farci le pulci fra giornalisti. Ma non riesco a trattenermi dal dovere di denunciare il suicidio dei giornali, più grave forse di quelli dei partiti e delle istituzioni, perché quando ad ammazzarsi sono i giornali, facendo di tutto per non lasciarsi leggere, cade la testa di un sistema democratico. Che finisce nel momento stesso in cui finisce l’informazione.

Ho guardato e riguardato la prima pagina del Corriere della Sera di oggi, mercoledì 28 giugno 2017, e mi sono chiesto se fosse uno scherzo o no. Purtroppo, non era e non è uno scherzo. È proprio la prima pagina del più diffuso e – si ritiene proprio per la sua diffusione – più importante quotidiano d’Italia. Per la conquista della cui proprietà molti in passato hanno perso la testa e qualche volta persino la vita per effetti, diciamo così, collaterali. Spero naturalmente che non finisca così anche per Urbano Cairo, che ricordo sempre con simpatia e comprensione quando, una trentina d’anni fa, lo vedevo ogni giorno nel cortile della sede della Fininvest, a Milano in via Paleocapa, attendere con fiducia e pazienza l’arrivo dell’auto che portava in ufficio Fedele Confaloneri. Davanti alla cui stanza poi lo scorgevo per intere giornate, strappandogli, quando ci incrociavamo, occhiate di umana solidarietà. Ma temo che anche lui avrà problemi, prima o poi, se non si sorprenderà – con tutto ciò che ne dovrebbe derivare – di fronte ad una prima pagina del Corrierone come quella di oggi, in cui è relegato in un richiamino di quasi ordinaria amministrazione l’articolo del pur qualificatissimo Marzio Breda, di casa al Quirinale, sul picco dell’emergenza immigrati, sbarcati sulle nostre coste in “diecimila in quattro giorni”.

Ci troviamo di fronte ad un’emergenza che, oltre ad impensierire gli uffici del Quirinale, ha indotto il ministro dell’Interno Marco Minniti a sospendere un viaggio di lavoro programmato negli Stati Uniti per inchiodarsi al suo posto di controllo e coordinamento.

Di fronte a questa che ormai ha le dimensioni di un’invasione il Corrierone ha ritenuto che dovessero interessare di più ai lettori, nell’ordine di importanza ricavabile dalla collocazione dei vari titoli, la multa europea di quasi due miliardi e mezzo di euro a Google, che ha già annunciato ricorso, il solito Renzi contro tutti o tutti contro Renzi, come preferite, la storia di giustizia e di amore del pubblico ministero ormai più famoso d’Italia, Woodcock, o come altro si scrive il suo complicatissimo cognome, e la conduttrice televisiva Sciarelli, alla quale la Procura di Roma ha peraltro sequestrato il telefonino sospettandola – spero a torto, per lei e per tutti noi – di avere fatto da intermediaria fra il suo Henry e l’inviato giudiziario del Fatto Quotidiano di Marco Travaglio. Che da mesi ce la mena e rimena con i suoi scoop sulla, anzi sulle inchieste giudiziarie targate Consip, sui cui binari si sono rovinosamente scontrati i convogli delle Procure di Napoli e di Roma.

A me, giornalista forse troppo vecchio e rincitrullito agli occhi dei giovani, sembra una follia ritenere che diecimila immigrati sbarcati in quattro giorni in Italia debbono interessare meno della “tenda” – ripeto, la tenda – che quel permaloso di Romano Prodi ha annunciato di avere già smontato e riposto nel suo “zaino” per allontanarsi dal Pd, visto che il segretario Renzi ha osato, forse non a torto, dicendone finalmente una buona fra tante sbagliate, che i cattivi risultati delle sinistre nelle elezioni amministrative appena svoltesi si debbano alle nostalgie dello stesso Prodi e amici, o compagni, per le loro coalizioni uliviste e simili. Che sono state, per quanto sono durate e per come sono cadute, dei caravanserragli, e non altro.

Non parliamo poi delle allucinanti liti fra le componenti del “ritrovato” centrodestra e degli umori di Beppe Grillo, che non ha voluto perdonare neppure da morto al povero Stefano Rodotà, suo candidato al Quirinale non più tardi di quattro anni fa, di avere poi osato criticarlo.

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