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L’occultismo di Thomas Mann

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Monaco di Baviera, vigilia di Natale, 1922: Thomas Mann sale su un tram in compagnia di un caricaturista che gli ha procurato un appuntamento con il barone Albert von Schrenck-Notzing. Medico, specialista in patologie nervose e sessuali, l’aristocratico tedesco si era conquistata una discreta fama tra i seguaci del paranormale che affollavano la società monacense. Il suo salotto era frequentato da pittori, musicisti, professori universitari, poeti, tutti accomunati dall’interesse per i fenomeni medianici. Esoterismo e occultismo, già presenti nella Germania prebellica, si erano diffusi capillarmente dopo la sconfitta nella Grande guerra. L’umiliazione subita e una devastante crisi economica costituivano un terreno fertile per la proliferazione di sette segrete e di strampalati culti misterici. Mann, che allora aveva già iniziato la sua conversione alla democrazia di Weimar, era avido di nuove avventure intellettuali. Aveva perciò accettato di buon grado l’invito del barone. Raggiunta la casa di von Schreck, viene ricevuto e fatto accomodare in biblioteca. Una variopinta delegazione di Schwabing, il quartiere degli artisti, era lì in attesa che il medium Willi S. mostrasse le sue doti. Mann non ha troppe aspettative. Sa che può essere coinvolto in un’impostura, ma decide comunque di restare, quasi in veste di antropologo. Non se ne pentirà. Lo racconta in un agile volumetto, stampato per la prima volta in Italia grazie a un raffinato editore di nicchia (Sedute spiritiche e un’altra prosa inedita, a cura e con la traduzione di Claudia Ciardi, Via Del Vento).

Come sottolinea nelle sue preziose note la curatrice, i resoconti dei tre esperimenti a cui assiste hanno un altissimo valore documentale, in quanto rappresentano il primo nucleo narrativo di un tema che Mann sviluppa in chiave letteraria nel medesimo arco di tempo. In primo luogo nel saggio Esperienze occulte, redatto nel 1923 in occasione di una conferenza e subito pubblicato sulla rivista Neue Rundschau. In secondo luogo nel romanzo La montagna incantata, il capolavoro cui attendeva da un decennio. Un suo intero capitolo è dedicato alle sedute spiritiche che si tengono nel sanatorio svizzero di Davos, a cui partecipa il protagonista, il solido e rispettabile borghese Hans Castorp. La passione per le zone d’ombra della psicologia umana, dove la mente vibra tra sogno e allucinazione, sarà un motivo ricorrente nell’opera del grande narratore di Lubecca. Si pensi al gondoliere-Caronte che scorta Gustav Aschenbach in La morte a Venezia; o al ritratto del mago Cipolla, l’ipnotizzatore incontrato durante una vacanza in Versilia, immortalato in Mario e il mago, dove, a proposito delle suggestioni suscitate dalla pratica della magia, osserva: “Ognuno ha gettato una rapida occhiata, tra curiosa e sprezzante, sul carattere ambiguo e indecifrabile dell’occulto, quell’occulto incline sempre a confondersi, nell’individuo, con la ciarlataneria e il soccorrevole imbroglio, seppure tale connubio nulla provi contro la purezza degli altri elementi del pericoloso amalgama”.

In queste riflessioni, già abbozzate in una delle primissime prove dello scrittore, lo “schizzo in prosa” Visione (1893), si avverte chiaramente l’eco dell’esperienza vissuta nelle sedute spiritiche organizzate dal suo illustre ospite. “Insisto, il discorso – scrive Mann – non può vertere sull’imbroglio in un qualsivoglia senso meccanico. Si tratta di un artificio occulto prodotto da una forma di vita organica, la cui anomala realtà mi è parsa indiscutibile, nutrita da confusi stati psicologici a livello profondo e istintivo dell’umano che […] si prestano veramente bene a demolire il tronfio senso estetico; fenomeni la cui indubbia esistenza deve irritare fino allo sconforto l’istinto a fornire spiegazioni proprio dello scienziato”. Paradossalmente, Mann si serve proprio delle teorie elaborate agli albori del Novecento da due sommi scienziati per corroborare le sue tesi. Rovesciando i principi della fisica classica, Albert Einstein e Niels Bohr avevano infatti descritto l’universo proprio come una “danza di energia immateriale”. In un passo di Esperienze occulte, dopo aver dibattuto sul dualismo erroneamente esasperato tra spirito e natura, peraltro asse portante della sua costruzione filosofico-letteraria, viene menzionata la teoria della relatività quale primo tassello di un nuovo edificio della conoscenza umana, dove “il confine tra fisica matematica e metafisica è divenuto fluttuante”. Si tratta dell’assunto di fondo dei resoconti ispirati dal medium. Nel manifestarsi della telecinesi, fenomeno chiave delle performance di Willi, per Mann era incontestabile la commistione tra forze organiche e poteri ultrasensibilil, per la cui complessa esplorazione un valido aiuto poteva provenire dalla psicoanalisi di Freud (a cui dedicherà un saggio nel 1929), ossia dall’altra scoperta rivoluzionaria che aveva segnato il passaggio al ventesimo secolo.

Quando Mann si congeda da von Schrenck, la disoccupazione di massa e un’inflazione alle stelle stavano gettando nel panico la popolazione tedesca. Pochi mesi prima, il 24 giugno 1922, il ministro degli Esteri Walther Rathenau era stato assassinato da due sicari dell’estrema destra, militanti nei Freikorps. Fu il primo segnale dell’instabilità e della violenza che avrebbero distrutto la Repubblica di Weimar. Per altro verso, il clima imperante di frustrazione morale e di disorientamento politico conferiva uno straordinario ascendente ai professionisti dell’occulto. È proprio in quel clima che matura la cultura esoterica dei vertici del nazionalsocialismo. In quegli anni il mentore di Hitler è Rudolf von Sebottendorf, studioso della cabala, di testi alchemici e rosacrociani, delle pratiche occultistiche dei dervisci. È lui l’animatore della “Thule Gesellschaft”, una società mistica fondata nel 1910 che si ispirava agli scritti teosofici di Guido von List e Lanz von Liebenfels, ovvero a un coacervo di religioni orientali, teosofia, antisemitismo, mistificazione runica e paganesimo nordico. Gli iscritti alla “Thule” (la mitica Atlantide) si riunivano ogni sabato nei saloni dell’elegante Hotel Vier Jahrunderszeiten di Monaco: oltre a quello del futuro Führer, spiccavano i nomi di Rudolf Hess, Karl Haushofer, Alfred Rosenberg, Hans Frank, ossia l’élite del nazionalsocialismo.

Mann aveva sicuramente sentito parlare di Eusepia Palladino (1854-1918), la più celebre medium dell’epoca. Lo stesso von Schrenck era stato uno dei suoi studiosi, insieme a Pierre e Marie Curie, Henry Bergson e a uno stuolo di filosofi e scienziati. Cesare Lombroso in un primo momento aveva attribuito le sue eccezionali facoltà a un “carattere neuro-psicopatico”. In seguito divenne uno dei suoi più accaniti sostenitori, contribuendo notevolmente, grazie alla sua autorevolezza, al crescente prestigio della medium. Eusepia potè così esibirsi nelle principali città d’Europa, sempre acclamata dalla folla. Solo a Cambridge i controllori la accusarono di barare, ma senza poterlo dimostrare. Finché, sull’onda del successo, ebbe la malaugurata idea di fare una tournée negli Stati Uniti. Sul finire del 1909 sbarcò quindi a New York. Nella metropoli americana la sua carriera fu stroncata per sempre. Durante una seduta, una commissione della Columbia University, comprendente alcuni famosi prestigiatori, riuscì nell’impresa di svelare i suoi trucchi più ingegnosi (di cui qui non è possibile dare conto). Eppure Eusepia, come Willi, si faceva serrare gli arti superiori e inferiori. E, come Wlli, era una specialista nella levitazione di mobili e strumenti musicali. Ma forse l’anziana pugliese era meno brava del ragazzo bavarese che aveva stregato Thomas Mann.

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