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L’Arabia Saudita? Un orso che esce dal letargo. Parla il prof. Samir Nader

Beirut, ore 12.55. Il professor Samir Nader, docente all’Università dei gesuiti Saint Joseph, direttore del Levant Institute for Strategic Affairs, attraversa Piazza de l’Etoile e arriva al caffè dove abbiamo appuntamento con qualche minuto d’anticipo.

Libanese, tanti anni vissuti a Parigi, a differenza di tanti altri conserva anche una volta rientrato in patria le abitudini prese all’estero, differenziandosi da quel trend di cui parla nei suoi libri Amin Maalouf, per cui i libanesi all’estero si occidentalizzano, ma appena rientrano in patria fanno riemerge il levantino che è in loro. “Ma qualcosa è in noi, sia europei sia levantini”, mi dice quando glielo faccio notare. Salvo poi aggiungere: “Mi spiego. Quando la signora Marine Le Pen è venuta qui in Libano, un’amica, maronita come me, mi ha detto che le piaceva. Io le ho chiesto quasi con rabbia: ‘Ma cosa ti piace?’. E lei: ‘Non lo so, ma mi piace’. Pochi giorni dopo sono entrato in un ascensore, tra persone che non conoscevo. A uno di loro squilla il telefonino, istintivamente lo guardo e vedo che sullo schermo è apparso un nome e una fotografia, quella di Bin Laden. Stavo entrando in uno studio televisivo e mi è venuto spontaneo dire: dentro ciascuno di noi c’è un piccolo Bin Laden, l’importante è saperlo, e combatterlo. Volevo dire che dobbiamo porci una domanda: perché i sunniti moderati, che sono sicuramente molti di più dei non moderati, non alzano la voce, non insorgono contro gli estremisti? Qualcuno può pensare che non abbiano capito che sono loro il vero obiettivo dei terroristi? No, è escluso. Ma rimanendo nel loro milieu, nella loro comunità, nella loro appartenenza di sunniti, alla fine si sentono in dovere di giustificare sociologicamente il terrorismo, che ovviamente condannano ma spiegano ricordando i guasti causati dal colonialismo, dalla miseria… Questo ovviamente ci sta, ma non basta, non aiuta a vincere una sfida esistenziale. E la sfida esistenziale si vince creando una nuova appartenenza, una nuova comunità, quella dei moderati. L’identità dei moderati, dei sunniti moderati, qui l’aveva creata Hariri, mister globalizzazione prima della globalizzazione! Lui aveva svegliato l’orgoglio sunnita non guardando al passato, ma al futuro, un tycoon sunnita che andava a Washington, a Riad, a Parigi. Il suo assassinio è stato un colpo tremendo. Poi è arrivato l’altro colpo, la perdita del Libano, del grande cartello islamo-cristiano che i sunniti guidavano e che li faceva sentire protagonisti di una cultura cosmopolita. Poi è arrivato il terzo colpo, la carneficina siriana. I sunniti sono stati abbandonati, umiliati. E il piccolo Bin Laden è tornato a fare proseliti tra di loro. Ora dovremmo porci una domanda cruciale: come si può fare a far rinascere un soggetto sunnita moderato per il mondo sunnita della Mezzaluna Fertile, di questo vasto mondo sunnita? L’Europa dovrebbe riflettere seriamente su questo. Faccio un esempio che riguardo un paese limitrofo al vasto mondo di cui parliamo. Ricordi gli anni in cui la Turchia voleva entrare in Europa? L’economia turca volava, si parlava di scuse ufficiali con l’Armenia, di riapertura di seminari ortodossi confiscati da generali di Ataturk, di zero problemi con tutti i vicini, di stato civile, che è un modo mediorientale per dire stato laico senza temere che si capisca stato laicista. Si è avuto il coraggio di scommettere su questo? O si è temuto che fosse un inganno? Quando si chiude una porta se ne apre un’altra, opposta. Se la Turchia non può aprire la porta occidentale apre quella orientale. E Erdogan l’ha fatto, arrivando lì dove purtroppo tutti sappiamo”.

Professore, vuole dire che è uscito il piccolo Bin Laden che è in lui. Ho capito. Ma oggi per voi, per noi, il problema sembra quello di riportare il grande Bin Laden che è esploso in Siria sotto controllo.

“Cerchiamo di capire dove siamo. In Siria i turchi hanno ottenuto quel che volevano. Il corridoi di salvaguardia dai curdi del confine. I russi pure. Il problema ora è l’Iran, che non ha ancora conseguito il corridoio che unisce Teheran a Beirut. Hanno il controllo terrestre di questo corridoio in Iraq, hanno Damasco, hanno il sud del Libano, ma lì in mezzo, tra il confine iracheno e quello siriano, c’è un buco. E dopo gli errori di Obama i generali americani hanno convinto Trump che bisogna combattere lì, impedire che quel corridoio si chiuda. L’agenda dei russi e degli iraniani non coincide. I russi vogliono essere il domino, non sono intervenuti in Siria per fare dell’Iran il domino in quelle terre. Ecco perché Assad è ancora a casa sua. Quando ci si siederà al tavolo negoziale sia i russi sia gli iraniani saranno disposti a cedere la sua testa, non a discutere sui loro interessi strategici. Assad già oggi non esiste”.

E l’Arabia saudita?

“Immaginiamo un orso che si risvegli dal suo lungo letargo. Ecco, è l’Arabia saudita di oggi. Il principe Muhammad bin Salman, che tutti ritengono l’uomo forte del nuovo regime, è un giovane. Chiaro? Giovane! L’Arabia saudita sta uscendo dal suo letargo e Muhammad bin Salman ha avviato delle riforme impensabili fino a ieri. La privatizzazione dell’Aramco, la riduzione del potere della polizia religiosa e molto altro. Che tipo di rapporto ha in mente con gli ulema wahhabiti? Questo è un punto enorme, sul quale io ho lo mie idee e tutto mi dice che ci saranno dei conflitti, non potranno non esserci. Il letargo è finito”.

L’idea che in Arabia saudita qualcuno possa pensare a uno Stato post-religioso Sami Nader non la esplicita, ma altri sì. E’ per questo che l’idea di investire sul ritorno di un campo dei moderati, che unisca le diverse appartenenze confessionali, cioè che sia davvero trasversale e sovranazionale, appare un sogno urgente, concreto e indispensabile. E questo campo può nascere solo a Beirut.

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