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Io, sindacalista, contesto i populisti

populisti, cremaschi, robot, bentivogli

Pubblichiamo un estratto dalla relazione finale di Marco Bentivogli, rieletto ieri segretario nazionale della Fim-Cisl, presentata al congresso nazionale che si è tenuto il 7, 8 e 9 giugno

La bolla speculativa populista è tutta culturale. Le disuguaglianze si misurano sempre di più sull’accesso al sapere, alla cultura, alla qualità e all’accesso all’istruzione, alla partecipazione e all’informazione corretta, all’età, all’inurbamento, alla demografia, finanche al credo religioso.

La povertà economica si manifesta come un’assenza di reddito, ma quel reddito che manca dipende da una carenza di capitali: capitali sociali, relazionali, familiari, educativi, etc. E quindi se non agisco sul piano di questi capitali, i flussi di reddito non arrivano, e se arrivano si disperdono, non fanno uscire le persone dalla condizione di povertà, e non di rado la peggiorano – quando quel denaro finisce nei posti sbagliati, come le slot-machine e i gratta-e-vinci .

Nel nostro Paese solo il 29% delle famiglie ha nella propria casa più di 25 libri (han buttato anche il sussidiario delle elementari…) e siamo campioni per numero di analfabeti funzionali. E ci stupiamo che si faccia informazione e orientamento elettorale sulle fake news? Rispetto a questi indicatori, a prescindere dal reddito, conta tantissimo il rapporto centro-periferie, la crisi della genitorialità, la scomparsa di quasi tutte le agenzie educative. La politica, il sindacato hanno perso terreno come luoghi educativi e generativi di consapevolezza; qualche riflessione in più non guasterebbe sulle ragioni di questa perdita di ruolo e soprattutto su come recuperarlo al più presto.

La globalizzazione ha liberato 2 miliardi di persone dalla povertà, lo ha fatto mutando verso il riequilibrio delle condizioni planetarie. Tra l’altro prendersela con la globalizzazione è come arrabbiarsi quando piove. Quando non si sa a chi dare la colpa, la si dà alla globalizzazione. E la ricetta per uscirne? La politica industriale, gli investimenti pubblici, in un Paese in cui sono spariti quelli privati. Bastaaa!

Eppure le responsabilità non sono mai così lontane, ma è utile trovarne lontano da sé e soprattutto proporre soluzioni impegnative… per gli altri.

Il sindacalista o il politico che, quando non sa cosa dire, evoca la parola magica della “politica industriale” o dà la colpa “alla globalizzazione, all’Europa e all’euro o alla tecnologia”, oltre a dire balle, insegue i populisti sul loro stesso terreno, rimanendo pure indietro.

Si può dire? L’Europa, l’euro, la globalizzazione e la tecnologia hanno fatto meglio al lavoro di tanti soldi, anche pubblici, spesi male.

Leggi qui la relazione completa (Pdf)

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