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Il Califfato è il magnete del web

Le immagini di Al Baghdadi che sale le scale per raggiungere il pulpito della moschea di Mosul nel 2014 sono tatuate nella nostra mente. Un uomo dall’età indefinibile, con la barba lunga, un copricapo nero e un vestito nero. Ci sembrano, lontane, esotiche, medioevali. Però quelle immagini hanno fatto il giro del mondo attraverso YouTube e il sedicente Califfo ha dimostrato di avere una capacità mediatica degna di una star internazionale. Quel giorno del luglio 2014, con un puro atto di comunicazione, veniva fondato il Califfato. Uno Stato che ha fatto della dimensione mediatica i suoi confini.

Abbiamo intervistato Marco Lombardi per PRIMOPIANOSCALAc di Telos A&S per avere delucidazioni sulla comunicazione al tempo dell’Isis. Lombardi è professore di sociologia, gestione della crisi e comunicazione alla Cattolica di Milano. “Il Califfato è nato pubblico ed è da sempre pubblico nelle dichiarazioni dei suoi intenti e nelle azioni” sostiene Lombardi.

I risultati della capacità magnetica dell’Isis sono impressionanti e viaggiano attraverso Facebook, Youtube e Twitter. Ogni volta che viene postato un contenuto i simpatizzanti della Jihad di tutto il mondo lo condividono e lo rendono virale. A poco valgono i tentativi di arginare il fenomeno. I simpatizzanti cambiano spesso nickname e foto per non essere intercettati e usano una grande varietà di hashtag. Ma non solo. I jihadisti comunicano anche attraverso il deep web, le cui informazioni non vengono rilevate dai motori di ricerca. La loro forza deriva anche dall’arruolamento di alcuni tra i migliori hacker del mondo. Tutto questo non è certo una novità. Già Al Qaeda comunicava attraverso i video on line ma, ai tempi, la diffusione del web era meno capillare.

“I jihadisti padroneggiano le armi digitali del terrore meglio di chiunque li abbia preceduti. Nel XXI secolo non è questione di moschetto, armatura a cavallo, come lo era per i conquistadores, ma di Internet”. Con queste parole lo studioso Philippe-Joseph Salazar sottolinea la specificità della comunicazione del terrore nel suo libro “Parole armate. Quello che l’Isis ci dice. E che noi non capiamo” (Bompiani).

È un macabro paradosso. L’Isis ci appare antiquato e retrogrado, ma sa usare gli strumenti della contemporaneità con una maestria da manuale. Il nuovo campo di battaglia è la Rete.

Leggi l’intervista a Marco Lombardi su PRIMOPIANOSCALAc

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