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Il fallout delle dichiarazioni di Comey

Il fallout alla deposizione dell’ex capo dellFBI James Comey dinanzi alla Commissione Intelligence del Senato che sta indagando sul Russiagate è appena iniziato, con il legittimo susseguirsi di analisi e interpretazioni su aspetti, dettagli, sguardi, a volte tecniche, a volte d’istinto. Pancia e mente, come la presidenza Trump. Poi arriveranno i contraccolpi politici a questo che con ogni probabilità è stato lo snodo dell’inchiesta sui russi: ma arriveranno tra un po’.

FORMALIZZARE LA DIFESA

Ieri il presidente-assiduo-di-Twitter non ha mai twittato, per tutto l’intero giorno: la replica ufficiale è stata affidata a una ponderata dichiarazione di due pagine scritta da Marc Kasowitz, avvocato personale, e speciale, di Donald Trump con l’obiettivo di mettere in evidenza quali sono i punti deboli della deposizione e dell’audizione di Comey. Che non è stata bombastica visto che c’è un’indagine in corso, ma analizzata nel suo insieme solleva un’enorme questione: il racconto descrive il presidente come una persona incline a mentire (Comey ha definito per cinque volte Trump “liar”, bugiardo), che voleva (vuole ancora?) costruirsi intorno una cerchia di fedeli, anche passando sopra alla terzietà delle istituzioni (e forse mettendosi di traverso al corso della giustizia); una persona talmente inaffidabile che il capo dell’FBI ha sentito l’esigenza di archiviare tutto (non escludendo i dettagli, aspetto che serve a sottolineare la lucidità del ricordo) sotto forma di verbali sui loro contatti personali.

IL CONTRATTACCO

La difesa trumpiana sintetizzata all’osso dice: è legale che Comey abbia passato i memo sugli incontri col presidente al professore di legge della Columbia Daniel Richman (amico personale dell’ex direttore), che poi li ha consegnati alla stampa perché si innescasse la nomina di un consigliere speciale per dirigere l’inchiesta? C’è stata una fuga di informazioni su conversazioni top secret tra il capo del Bureau e il presidente? È configurabile un qualche reato? C’era in Comey la volontà di architettare un complotto contro Trump? E ancora, perché la stampa ha diffuso via via decine di spifferate sul Russiagate ma niente a proposito del fatto che il presidente non fosse indagato? Anche qui: c’è un complotto contro la Casa Bianca?

LA COSTITUENCY E LE MID TERM

Il complotto ricorre perché per far attecchire certe linee difensive tra la costituency più trumpiana dell’elettorato repubblicano serve evocarlo, vista la naturale inclinazione a credere a ricostruzioni, diciamo così ‘architettate contro il sistema’, da parte dello zoccolo duro dei trumpers. E d’altronde, quello serve, per questo D. Jr Trump, il figlio primogenito del presidente, non ha mollato un minuto Twitter durante tutta l’udienza di Comey, sostituendosi al (per quanto noto) naturale istinto del padre. E serve perché i dati parlano chiaro: un sondaggio Quinnipac uscito in questi giorni dà l’approval presidenziale al 34 per cento, ma soprattuto dice che il 73 per cento degli elettori americani disapprova come i Repubblicani stanno lavorando al Congresso. Tenere il punto con la gente è una direttiva del partito, che ha calendarizzato il traguardo delle mid term prima di regolare i conti con questo nuovo, strano inquilino alla Casa Bianca.

IL PUNTO CENTRALE DELLA VICENDA

Per questo l’interesse profondo, sia della linea difensiva, sia di molti dei membri Rep della Commissione che ieri hanno fatto domande a Trump, è stato quello di cercare di capire se secondo Comey il presidente ha fatto pressioni per intralciare il corso della giustizia. Quanto quella speranza espressa dal presidente quando chiese apertamente nello Studio Ovale a Comey di “lasciar andare” Michael Flynn, ex Consigliere per la Sicurezza nazionale invischiato fin sopra ai capelli nel Russiagate, era un ordine? Secondo l’allora capo del Bureau, quando un presidente ti chiede in una conversazione riservata – che lui stesso aveva voluto, allontanando con insistenza gli altri membri di gabinetto presenti nella stanza, come Comey ha specificato nella sua deposizione scritta in uno di quei dettagli che sottolineano la bontà del ricordo – quello è stato indubbiamente un ordine.

I REP ARROCCATI

Secondo Kasowitz e Susan Sanders, portavoce in seconda della Casa Bianca, invece no: non era un ordine, era una speranza soltanto, e il mantra rimbalza tra i corridoi del Congresso come direttiva di partito, che tutto cerca meno che uno scandalo nixoniano un anno prima del voto parlamentare. Lo speaker della Camera Paul Ryan ha cercato la linea di difesa più populista. Il succo: è uovo in questo lavoro, capitelo, forse non conosce i protocolli che da anni regolano i rapporti tra dipartimenti, agenzie e Casa Bianca, ma era in buona fede. Intanto secondo la CNN entro il mese di giugno sul banco della Commissione potrebbe essere chiamato anche Jared Kushner, genero di Trump, consigliere della Casa Bianca, coinvolto più dell’immaginato nel Russiagate. E potrebbe essere un altro passaggio importante.

 

(Foto: Official White House Photo, by Shealah Craighead)

 

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