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Globalizzazione, più pregi o più difetti? Dibattito in vista del G20 di Amburgo

Di Francesco Bechis
brexit, Unione europea, Paganetto

Giovedì mattina alla Farnesina, durante la seconda giornata del celebre seminario internazionale di Villa Mondragone organizzato dall’economista Luigi Paganetto, si è discusso della globalizzazione con un pragmatismo che, purtroppo, stenta a trovare spazio nei libri accademici. Tra gli altri, esperti del calibro di Antonio Maria Costa, Dominick Salvatore, Beniamino Quintieri, Enrico Giovannini e infine Pier Carlo Padoan e Beatrice Lorenzin, ministri rispettivamente dell’Economia e della Salute, hanno detto la loro sugli effetti della globalizzazione sul mondo occidentale, anche e soprattutto in vista del G20 di Amburgo del prossimo luglio.

LA CINA È UNA SUPERPOTENZA?

“In un quarto di secolo, un tempo straordinariamente breve, la globalizzazione ha aiutato un miliardo di orientali a uscire dalla povertà e crea mezzo miliardo di poveri in Occidente” spiega l’ex Sottosegretario Generale ONU Antonio Costa, che sul declino del mondo occidentale ha recentemente scritto un libro, “Scaccomatto all’Occidente” (Mondadori). Nel suo intervento ha ripercorso l’entrata della Cina tra le superpotenze, con un piano di investimenti senza eguali che ha cambiato non solo il suo gradus di potenza economica, come la vulgata mediatica vuole far trasparire. I soldi investiti nella ricerca hanno infatti reso le tecnologie militari cinesi tra le più avanzate al mondo. Un esempio pratico: di 34 portaerei esistenti oggi, 24 battono bandiera USA. La Cina non ne ha neanche una, ma con uno solo dei missili supersonici sha shou jian posti a difesa dell’atollo Fiery Cross Rief, può abbattere senza problemi la celebre portaerei Reagan da 97.000 tonnellate. 1 milione di dollari che fa svanire nel nulla 5,4 miliardi di dollari. “La Cina dimostra che le strategie militari del passato sono superate” racconta Costa, “invadere il nemico è cosa superata, così come penetrare le sue difese con aerei, carri e fanteria. Oggi la Cina accerchia il nemico con capitali, esportazioni e tecnologie”. Tuttavia il rallentamento annuo della crescita (dal 6 al 9%), il calo della produttività e infine la crisi del settore bancario suggeriscono cautela nel dare per scontata la supremazia cinese.

L’AMERICA DI TRUMP TRA PROTEZIONISMO E GLOBALIZZAZIONE

“Metà delle cose che dice Trump sono sbagliate, l’altra metà sono giuste ma le dice male”. Così scherza nell’incipit del suo intervento Dominick Salvatore, una stretta conoscenza del Tycoon, celebre professore della Fordham University i cui libri di economia monetaria riempiono gli atenei di mezzo mondo. Salvatore che, dati e statistiche alla mano, ha dato un giudizio critico della nuova amministrazione scremandolo dalle polemiche mediatiche. Come quelle sull’affossamento dell’Obamacare e dell’Accordo di Parigi: se “la riforma sanitaria di Obama sarebbe crollata al 100%, in molti stati non c’è un’impresa che si assume di comprare l’assicurazione sanitaria”, il polverone sull’Accordo di Parigi sembra ancora più inutile. Il trattato doveva infatti essere ancora ratificato dal Congresso, dove “né i democratici né i repubblicani lo avrebbero votato”. Escluse le polemiche, rimangono però serie criticità nell’economia americana che Trump dovrà affrontare al più presto: bassa crescita, debito pubblico alle stelle, un deficit commerciale insostenibile, la crisi nel manifatturiero, le crescenti ineguaglianze sociali sono solo alcuni dei punti più urgenti. Salvatore non manca di bacchettare il numero uno della Casa Bianca sugli errori di politica estera, specie per le dichiarazioni sulla Cina. Trump punta il dito sull’incremento delle esportazioni e la svalutazione “sleale” dello yuan. Accuse che, secondo il professore, non starebbero in piedi: “la Cina ha speso 1 trilione delle sue riserve per evitare che lo yuan deprezzasse ancora di più, cosa che comunque fa dal 2004. Il tasso di cambio riflette situazione economica, la Cina non sta più crescendo come prima”. Anche il presidente di SACE Beniamino Quintieri si accoda alle critiche, specie sul TTIP, un accordo che Trump non avrebbe dovuto trascurare, anche se “non è detto che sia morto”. Un altro errore, spiega Quintieri, sarebbe credere che riportare le aziende negli States rilancerebbe l’occupazione: “questo non avverrà, le tecnologie sono cambiate, riportare indietro queste produzioni non fa aumentare l’occupazione in maniera significativa”.

IL GOVERNO ITALIANO E IL G7

I ministri Pier Carlo Padoan e Beatrice Lorenzin hanno chiuso i lavori tirando le somme del G7 di Taormina. Per la Lorenzin, uno dei settori che più paga le conseguenze della digitalizzazione imposta dalla globalizzazione è proprio quello sanitario, che in Italia spesso arranca dietro all’innovazione. Un problema che si può risolvere solo alla radice, cioè dalla formazione della forza lavoro. Un compito per cui, spiega la ministra, non senza un’occhiatina al lavoro della collega Valeria Fedeli, “la scuola non è adeguata in questo momento”. Padoan ha invece rivendicato i successi del G7 economia di Bari, specialmente sul contrasto a “minacce globali che richiedono risposte globali”. Tra queste, la lotta agli attacchi cyber alla finanza, il contrasto all’evasione internazionale, per cui l’Italia ha firmato qualche settimana fa un accordo con l’Ocse a Parigi, e infine l’eliminazione degli sprechi con la riorganizzazione di banche di sviluppo internazionali. Tutti temi che si riproporranno a luglio sul palcoscenico del G20 in Germania, dove spetterà ad Angela Merkel tessere nuove alleanze per rispondere alle polemiche d’oltreoceano.

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