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Popolare di Vicenza e Veneto Banca, ecco cosa faranno Intesa Sanpaolo e Unicredit

Di Maria Benvenuto e Pietro Di Michele
npl

Le due maggiori banche italiane, Intesa Sanpaolo e Unicredit, vengono chiamate al capezzale delle due venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Un copione che per certi versi era atteso, dal momento che, finora, non è stato possibile individuare alcun altro investitore pronto a sborsare quel miliardo in più di capitale privato (1,25 miliardi per la precisione) domandato dalla Commissione europea per dare il proprio ok alla ricapitalizzazione precauzionale con denaro pubblico.

GLI SCHIERAMENTI IN CAMPO

Secondo quanto scritto ieri da Repubblica, il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha contattato le due maggiori banche italiane, chiedendo loro “di intestarsi un istituto ciascuno”. Intesa, aggiunge il quotidiano romano, “avrebbe dato l’ok di massima a fare la sua parte; solo a patto, però, di dividere la somma tra tutti gli operatori. Se la “mozione Intesa” passasse, sarebbe difficile per Unicredit sfilarsi: e così via per i principali gruppi”. Lunedì scorso, ha scritto oggi il quotidiano Il Sole 24 Ore, i due consiglieri delegati Carlo Messina di Intesa Sanpaolo e Jean-Pierre Mustier di Unicredit “hanno incontrato separatamente il premier Paolo Gentiloni e il ministro Padoan”. Obiettivo? “Stendere una rete di protezione per le due venete”. Non a caso ieri Gianni Franco Papa, direttore generale di Unicredit, ha detto: “Si sta lavorando per trovare una soluzione”.

IL PROGETTO IN CANTIERE

Sia Messina che Mustier – scrive oggi il Corriere della Sera – “hanno escluso la possibilità un intervento diretto ma si sono detti pronti a ragionare su possibili alternative per evitare di mandare Veneto e Vicentina in bail-in o, peggio, in liquidazione”. Si tratta di trovare quegli 1,25 miliardi che Ue e Bce hanno chiesto ai privati di mettere, per accompagnare l’intervento dello Stato: “La condizione posta dai due banchieri è che la soluzione abbia o impatto zero sul sistema bancario oppure minimizzi il costo del salvataggio, ma soprattutto che partecipino tutti gli istituti”, aggiunge il Corriere della Sera. In questo si scongiurebbe per il sistema bancario un salasso di circa 10 miliardi, per effetto del bail-in delle due banche venete: “In caso di fallimento dei due istituti, il Fondo di risoluzione dovrebbe intervenire con oltre 11 miliardi di euro, tutti a carico delle banche. Un’ipotesi più probabile che remota, davanti alla quale stanziare subito 1,2 miliardi è di gran lunga preferibile”.

LO SCENARIO

Del resto, come scriveva Formiche.net del 29 maggio , raccontando la crisi dei due gruppi del credito del nordest, “è possibile che il governo, e in particolare il ministro Padoan, stia cercando di convincere le banche a investire nuovamente in Atlante”. Se poi la confezione non sarà il fondo guidato da Alessandro Penati, già azionista delle due venete, poco importa, perché comunque sarà un veicolo alimentato dalle due maggiori banche, Intesa e Unicredit appunto. Anche perché la crisi dei due gruppi veneti si è acutizzata nel 2016, quando Unicredit ha fatto un passo indietro dopo avere firmato la pregaranzia dell’aumento di capitale della Popolare di Vicenza e quando Intesa si è comportata in maniera simile con Veneto Banca. È allora che è diventato urgente l’intervento del fondo Atlante, che solo nel 2016 ha iniettato 2,5 miliardi nei due istituti di credito. E che, comunque, vede Intesa e Unicredit come i due propri principali soci.

GLI OBIETTIVI

Se Padoan non dovesse riuscire a evitare una risoluzione delle due banche venete con la normativa “rigorosa” del bail-in, senza cioè potere sfruttare l’eccezione della ricapitalizzazione precauzionale con soldi pubblici, il ministro rischierebbe di perderci la faccia. Nei giorni scorsi, infatti, Padoan aveva escluso esplicitamente un bail-in per le due venete. E in ogni caso, anche alla luce della messa in risoluzione “lampo” dell’istituto spagnolo Banco Popular, rilevato dal Santander a 1 euro, il Tesoro avrebbe definito quella che Repubblica chiama la sua linea del Piave: “bond senior”, cioè obbligazioni non subordinate, “e depositi non si toccano”.

LA LIQUIDITÁ

Quanto a quest’ultimo punto, però, va sottolineato che molti correntisti oltre i 100mila euro sembrano avere approfittato di questa fase quantomeno complessa per le due venete per spostarsi verso altri istituti di credito (su tutti: Intesa Sanpaolo, che a nordest ha incrementato di molto la raccolta). Alla crisi di liquidità, come noto, le due venete hanno sopperito con le emissioni obbligazionarie garantite dallo Stato che si sono succedute proprio negli ultimi mesi. Ma ora il tempo stringe: servono i 6,4 miliardi già individuati dalla Bce come fabbisogno complessivo. Che sia ricapitalizzazione precauzionale o bail-in, non si può più aspettare.

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