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Vi spiego perchè l’Isis ha punito l’Iran

CARLO JEAN, Isis, iran

Gran parte degli analisti hanno sostenuto che il duplice attentato compiuto a Teheran, e rivendicato dall’ISIS, sia stato istigato dall’Arabia Saudita. Taluni commentatori hanno poi collegato l’attentato con la rottura dei rapporti diplomatici con il Qatar, traditore della causa sunnita per i buoni rapporti che mantiene con Teheran, attraverso cui ha pagato il riscatto di un miliardo di dollari per la liberazione di appartenenti alla famiglia reale, sequestrati in Iraq durante una partita di caccia. Altri ancora hanno sostenuto che gli USA avrebbero, almeno indirettamente, autorizzato gli attentati, dopo la visita di Donald Trump a Riad e il suo sostegno alla causa sunnita contro l’Iran sciita. Trump ha concesso l’autorizzazione alla vendita di 110 miliardi di dollari di armi, per cui molti hanno gridato allo scandalo, dimenticando che l’anno scorso Obama ne aveva promessi per 115 miliardi. Taluni “benpensanti” vi hanno aggiunto le condanne alle esportazioni di armi italiane al Regno Saudita, “finanziatore del terrorismo”, dimenticando beninteso che esse non superano il trentesimo di quelle fornite dalla Russia.

Gran parte delle ricostruzioni prodotte mi sembrano fantasie, spesso ispirate dall’ideologie, specie per quelli che non hanno perdonato ai sauditi di aver finanziato i mujaheddin vincitori dell’Armata Rossa in Afghanistan. Essi non tengono conto del complesso intreccio dei rapporti fra gli Stati del Golfo e le tribù che li compongono. Con l’eccezione dell’Iran e della Turchia, essi sono rimasti Stati tribali che non hanno conosciuto un processo di nazionalizzazione. La descrizione dei collegamenti fra i sauditi e i fanatici dell’ISIS, non tiene conto di come essi siano mutati nel tempo, né del fatto che il Califfato ha effettuato attentati contro membri della famiglia reale e che lo stesso Abu Bakr al-Bagdadi ha auspicato la distruzione degli al-Saud, dichiarandoli corrotti, empi, apostati e traditori dell’Islam.

Parlando di Iran e terrorismo vengono poi sistematicamente ignorati i legami degli Ayatollah con al-Qaeda. Non solo gran parte dei finanziamenti per Osama bin Laden transitavano per la Repubblica Islamica, ma la famiglia del “principe del terrore” si era rifugiata in Iran, dopo la cacciata dall’Afghanistan. Per quanto riguarda, poi, il Qatar, le tensioni con gli altri componenti del Consiglio di Cooperazione del Golfo – con l’esclusione del neutrale Oman – derivano dal sostegno da esso dato alla Fratellanza Musulmana, organizzazione ostile alle dinastie arabe. Essa è sostenuta dalla Turchia, che schiererà 3.000 soldati nel piccolo emirato, che si aggiungeranno ai 10.000 americani che vi sono già schierati.

Nessuno in Medio Oriente è innocente, né ha le “mani pulite”. Prevale la Realpolitik, più brutale, simile a quella esistente nell’Italia di Machiavelli. E’ inutile chiedersi quali forme assumerà una guerra fra le due potenze più contrapposte nella regione: l’Iran e l’Arabia Saudita. La guerra infatti è già scoppiata da anni, anche se non è una guerra diretta, ma una per procura. Ciascun Stato, per combattersi, utilizza le fazioni a lui favorevoli esistenti nell’altro Stato, oppure, molto disinvoltamente, i gruppi nemici di quest’ultimo. Le sostiene finanziariamente, con la fornitura di armi e con l’intelligence. Talvolta, anche con l’invio di consiglieri militari e di proprie truppe. Il caso più grave è stato quello della terribile guerra dell’Iraq contro l’Iran negli anni ‘80. L’Arabia Saudita non può creare un vero esercito per il timore che si rivolti e che travolga la dinastia regnante. Quindi, il ricorso a guerre per procura è una necessità. Le ha impiegate in Libano contro gli Hezbollah; nello Yemen contro gli egiziani. Ma le impiega anche l’Iran oggi, nello Yemen, sostenendo contro Riad gli Houti già alleati dei sauditi contro gli egiziani; in Iraq, dove sostiene la milizia Badr, che è la forza sciita irachena più efficiente, organizzata sul modello delle unità delle Guardie della Rivoluzione Islamica.

La situazione sta cambiando. Il grande potenziamento delle forze aeree saudite e degli Emirati le mette in condizioni di distruggere le installazioni petrolifere e gasiere da cui dipende l’economia iraniana, neutralizzando la potenza delle fanterie di Teheran, appoggiate dalle milizie sciite irachene. Si è determinata così una forma di deterrenza, che impedirà lo scoppio deliberato di una grande guerra convenzionale fra l’Iran e l’Arabia Saudita. Le guerre per procura sono pertanto destinate a continuare.

Le motivazioni che hanno indotto l’ISIS a compiere gli attentati di Teheran non consistono solo nell’acquisire prestigio agli occhi dei sunniti, né tanto meno di ripagare l’Arabia Saudita del sostegno ricevuto. Fanno certamente parte di una strategia più complessa, quale quella che presiede l’intensificazione degli attentati non solo in Occidente, ma anche in Afghanistan, Pakistan, Filippine e Malesia. Ha giocato l’incombente sconfitta in Siria e in Iraq, dove l’ISIS perderà le caratteristiche di proto-Stato, in possesso di un proprio territorio, per trasformarsi in una rete terroristica simile, ma in competizione, con al-Qaeda. Come avvenuto gli anni scorsi, il numero di attentati aumenta notevolmente nel mese del Ramadan, iniziato il 26 maggio scorso. E’ un mese sacro non solo per la religione, ma per la geopolitica islamica, legata molto più di quanto si creda normalmente all’escatologia dei testi sacri. Molti degli eventi principali dell’Islam – dalla vittoria a Medina contro le milizie tribali di La Mecca, alla proclamazione dell’indipendenza del Pakistan, alla guerra dello Yom Kippur – hanno avuto inizio in tale mese. Gli attentati di Teheran, con l’alto valore simbolico che posseggono, fanno di certo parte delle celebrazioni del mese sacro. Incrociando le dita, ve ne saranno numerosi altri, anche in Occidente.

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